Le previsioni politiche non ci azzeccano mai

È davvero buffo che giornalisti e giornali di tutto il mondo siano convinti di avere tale potere di influenzare le masse e il voto, quindi gli esiti delle elezioni politiche

Le previsioni politiche non ci azzeccano mai
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Stimato Direttore Feltri, i giornali non soltanto americani ma anche italiani danno Trump per sconfitto. Lei si fida dei suoi colleghi o ha qualcosa da ridire?

Caro Luca,
non ho nulla da ridire ma da ridere tanto. Vedi, è davvero buffo che giornalisti e giornali di tutto il mondo siano convinti di avere tale potere di influenzare le masse e il voto, quindi gli esiti delle elezioni politiche. Più che una previsione fondata su un'analisi obiettiva e puntuale dei fatti e delle circostanze, i giornalisti trasportano ed imprimono nei loro editoriali ed articoli le speranze che essi stessi nutrono e che il più delle volte (leggi sempre) si rivelano alquanto vane. Dunque, si augurano che Donald Trump perda o che comunque risulti sconfitto in quanto essi non lo ritengono degno e presentabile. Quest'uomo, del resto, era stato dato per vinto anche nel 2016, quando correva contro Hillary Clinton, la quale era stata data, di contro, per vincitrice assodata e primo presidente donna degli Stati Uniti d'America. Per le penne di tutto il globo Trump era un illuso, un volgarissimo miliardario che si era messo in testa di darsi alla cosa pubblica, annoiato da quella privata, per combinare disastri, che non avrebbe mai goduto della fiducia del popolo americano, egli era pure, allora come ora, descritto come un pericolo per la democrazia e per la pace globale. Eppure le guerre sono esplose sotto la presidenza Biden. Ma questo nessuno osa sottolinearlo. Ed è sotto la presidenza Biden e la vicepresidenza Harris che abbiamo sfiorato e di fatto rischiamo ogni dì il terzo conflitto mondiale, che sarebbe atomico. È in corso oggi come allora un processo di criminalizzazione e di mostrificazione di quest'individuo che a me sta simpatico e che ha dimostrato, contrariamente a quello che affermano i miei colleghi, di essere equilibrato e pragmatico, un pacifista, altro che fascista guerrafondaio. Trump, come ha sottolineato il mio amico Aldo Cazzullo, che si trova negli Usa per raccontarci le battute finali di questa campagna elettorale sanguinaria (e, quando dico sanguinaria, intendo proprio sanguinaria, dato che è stato versato il sangue di Donald e c'è stato anche un morto), ha conquistato sia i ricconi come lui sia i poveracci. Piace a tutti. Io sono persuaso che, sebbene i sondaggi non siano favorevoli, Trump ce la farà. E non gli serve l'appoggio della stampa per trionfare. Come non gli servì nel 2016, allorché giornalisti televisivi e della carta stampata ridacchiavano alle sue spalle, mormorando: «Ma dove diavolo vuole andare costui con questo ciuffo?». Che scivolone sottovalutare qualcuno soltanto perché non ne condividiamo il pensiero o soltanto perché suscita la nostra invidia. Che l'apprezzamento e la sponsorizzazione da parte dei media non sia elemento essenziale e indispensabile per vincere le elezioni lo avevamo capito nel 2016 e lo abbiamo capito anche quando la nostra Giorgia Meloni ha stravinto alle politiche del 2022. Era reputata una sfigata ed era stato ampiamente previsto che sarebbe stata battuta da chiunque, veniva derisa per le sue ambizioni, prima tra tutte quella di guidare il Paese avendone ricevuto mandato dal popolo sovrano.

Sai cosa ti dico? Che l'esperienza dovrebbe averci insegnato che non ottenere l'endorsement da parte di tv, giornali, intellettuali e soloni vari e avariati sia una gran bella botta di culo. O non ci azzeccano nulla oppure portano sfiga: ti danno per perdente e vinci; ti danno per finito e cominci; ti danno per morto e risorgi; ti danno del coglione e poi i cretini dimostrano di esserlo loro.

Al di là della propaganda, il New York Times nei giorni passati si è spinto addirittura oltre. Oltre ogni limite. Come? Invitando, anzi dovrei dire ordinando, agli elettori-lettori di votare Kamala Harris allo scopo di scongiurare il possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Ti pare onesto? Anzi no, ti pare elegante? Ti pare deontologicamente corretto? Trattasi di una cafonata, compiuta da chi ha la puzza sotto il naso, quei radicalchic che vivono nell'attico in centro e che ignorano i problemi reali della gente comune.

Tutto questo mi induce a riflettere su una circostanza che viene trascurata: ma se i sondaggi vogliono Kamala in netto vantaggio, se la vittoria è senza dubbio di questa donna la quale sarebbe amata da neri, latinos, donne di ogni colore ed estrazione sociale, depilate e non depilate, grasse e magre, istruite ed

ignoranti, occupate e disoccupate, maritate e single, che bisogno ha il New York Times di appellarsi ai lettori chiedendo loro di non votare Trump?

Al mio paese si chiama «farsela sotto per la paura». A Manhattan non saprei.

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