Edi Rama ha sessant'anni e li ha vissuti tutti di corsa. È stato un giocatore di basket nella nazionale albanese, un pittore apprezzato, un professore, un giornalista e poi, soprattutto, un politico, che comunque continua a esporre la sua arte in grandi gallerie. Sempre ribelle, sempre anticonformista. Prima di diventare capo del governo è stato il sindaco di Tirana per tre mandati e da sindaco faceva anche il segretario del Partito Socialista in opposizione. Parla italiano, ama l'Italia. Con Giorgia Meloni ha firmato l'accordo per il centro per i rimpatri italiano in Albania.
Presidente Rama, l'operazione Albania non inizia. I giudici l'hanno fermata. Per voi cambia qualcosa?
«No, perché noi non abbiamo nessuna responsabilità nell'esecuzione dell'accordo, tranne quella di dare la totale disponibilità tramite la concessione della giurisdizione italiana al territorio dei due centri».
La nave italiana che deve portare in Albania gli immigrati è ripartita, sarà la volta buona?
«Non lo so».
Lei pensa che ci siano forze che tramano contro il governo Meloni?
«Non mi posso azzardare a dare giudizi sugli affari interni di uno Stato sovrano e democratico come l'Italia, dove la separazione dei poteri costituzionali è ben definita non solo sulla carta, ma anche nella realtà del lavoro delle istituzioni».
Che idea si è fatto della magistratura italiana?
«Credo di avere già risposto, non sta a me commentare l'operato delle istituzioni giudiziarie in Italia».
I dati dicono che gli accordi del governo Meloni coi governi di altri Paesi mediterranei, compreso il suo, stanno portando risultati molto importanti. Gli sbarchi sono poco più di un terzo rispetto all'anno precedente
«Sì, è vero, i dati parlano bene dell'estenuante sforzo di Giorgia su tanti fronti. Ma secondo me il punto è che questo grande problema non può essere affrontato in modo sostenibile se l'Europa non si unisce intorno a un chiaro disegno strategico, che deve rispondere sia alla forte necessità di controllare la frontiera comune sia alla fortissima domanda di arginare il calo demografico dei Paesi europei».
Quindi non solo contrasto?
«Bisogna contrastare l'immigrazione clandestina combattendo i trafficanti per garantire la sicurezza comune e aprire canali ampi di immigrazione legale per garantire la manodopera necessaria all'economia comune».
Fermare l'eccesso di immigrazione è interesse di tutta l'Europa?
«Su quella clandestina io penso proprio di sì».
Lei è un leader socialista. Che giudizio dà sul governo di destra italiano?
«Non mi permetto di dare un giudizio su qualsiasi altro governo democratico. Ma posso dire che, per me, le parole sinistra e destra sono sempre più un problema, perché in generale si usano come frecce d'assalto sull'altra parte, mentre i problemi da risolvere nel mondo d'oggi sono sempre più oltre le destre e le sinistre ideologiche. E poi vincere come forza d'opposizione è una cosa, assai importante, non c'è dubbio, ma parlare alla pancia della gente nutrendo le paure e addirittura l'odio verso il prossimo può aiutare a vincere, ma non a governare».
E per governare cosa si deve fare?
«Governare diventa sempre più una cosa completamente diversa nel mondo d'oggi, dove gli stessi margini di manovra dei governi nazionali sono limitati per tante ragioni. Ed è anche per questo che Giorgia ha sorpreso tanti in Europa. Quelli che si aspettavano di vedere in lei la novizia in camicia nera che marcia su Roma o spacca i vetri dei palazzi dei poteri sovranazionali, hanno scoperto un leader che si batte per rendere l'Italia più importante in Europa, non l'Europa meno importante in Italia».
Cosa dovrebbe fare la sinistra italiana sul problema immigrazione?
«Ma io non sono nessuno per dare delle lezioni alla sinistra italiana, che rappresenta un mondo di immensa tradizione di pensiero e riflessione politica. Coinvolgere tutto quel mondo ed ascoltarlo per poi farne una sintesi politica su questo e altri temi di prima importanza, sarebbe qualcosa di interessantissimo da seguire».
Pensiero e riflessione?
«Purtroppo viviamo in un mondo dove la riflessione politica e il pensiero strategico vengono sempre meno, e dove la velocità della vita sui social e tramite WhatsApp sembra averci tolto il più grande dono di Dio: il tempo per dubitare e riflettere prima di parlare e agire!».
La democrazia ne soffre?
«All'interno del mondo democratico, ci troviamo costantemente in apnea, immersi in tatticismi quotidiani per spegnere o alimentare focolai giornalieri, secondo visioni e interessi a breve termine. Sembra che i grandi progetti strategici e le visioni a lungo termine siano diventati il monopolio di altri, fuori dal perimetro del nostro mondo».
L'Europa è instabile?
«L'Unione Europea e il più bel progetto politico della storia umana, ma la sua incompiutezza e un sempre più grande problema».
La guerra in Ucraina ha cambiato molte cose. Vede all'orizzonte una soluzione?
«Ho paura che andrà peggio prima di andare meglio».
Domani si vota in America. Grande incertezza. Chi pensa che vincerà, chi vorrebbe che vincesse?
«Io non faccio il tifo per nessuno, ma sapere che quell'interminabile e fortemente divisiva campagna elettorale finalmente finirà aiuta già a respirare meglio».
Il Medio Oriente è lontano, ma mica tanto. L'Albania è preoccupata per quella guerra?
«Come tutti, molto preoccupata. Abbiamo sostenuto il cessate il fuoco alle Nazioni Unite e sosteniamo da tempi non sospetti la soluzione dei due Stati. Ma restiamo convinti che distruggere Hamas e combattere senza se e senza ma l'Asse del Male costruito dall'Iran deve essere una condizione sine qua non per agire su tutto il resto».
L'economia europea dà segni di cedimento. La Germania zoppica. Ci salverà l'intelligenza artificiale?
«Mah, già la produzione energetica di cui l'intelligenza artificiale avrebbe bisogno pone un nuovo grande punto interrogativo, mentre altri punti interrogativi rimangono già senza risposte convincenti».
Io so che lei ama l'Italia. Come vede il suo futuro?
«L'Italia è un grande genio che niente può mettere in ginocchio, anche se non sono mai mancati gli italiani che da sempre fanno il meglio per impedirle di correre come dovrebbe».
Cosa deve fare l'Europa per tornare protagonista?
«Fortunatamente, io devo occuparmi della piccola Albania e non sta a me risolvere i tanti nodi che sono venuti al pettine dell'Europa. Ma c'è qualcosa di spaventosamente impressionante nel fatto che, mentre l'Europa perde peso e competitività sulla scena dell'economia globale, la sua eccezionale macchina burocratica continua a produrre regole e vincoli che rendono il nostro continente un luogo sempre più difficile per l'impresa e per l'innovazione».
Serve un esercito europeo?
«Preferirei un esercito per l'educazione, la cultura e l'innovazione, e non è una provocazione; come ho già detto, è facile parlare quando non sei tu a dover fare le scelte necessarie».
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