Molti osservatori lo danno «in uscita» entro il 2012. «Compirà 78 anni a inizio dicembre prossimo e poi se ne andrà» dicono. Ma dentro il Vaticano c’è chi dice «no». «Tarcisio Bertone è saldamente in sella al governo della Chiesa al fianco del Papa e lì rimarrà ancora per molto tempo». Ma, al di là delle previsioni, la verità è una: Bertone, col suo stile così anti curiale e diacronico rispetto ai tempi e ai modi lenti e paludati della diplomazia vaticana, divide la curia romana e le gerarchie rimanendo un unicum nella recente storia della segreteria di stato vaticana.
È vero, anche Jean-Marie Villot, segretario di stato dal 1970, non aveva una formazione diplomatica. Ma a differenza di Bertone venne scelto da un Papa super diplomatico come era Paolo VI, e non da un Pontefice scrittore e insieme teologo come è Benedetto XVI. Insomma, alla carenza di dimestichezza diplomatica di Villot suppliva la formazione di Papa Montini. Mentre a quella di Bertone non può, per forza di cose, supplire Joseph Ratzinger.
I dissidi di Bertone con la scuola diplomatica ci sono da quando egli è arrivato da Genova a fianco del Papa. Suo fedele collaboratore all’ex Sant’Uffizio, una volta tornato a Roma ha dovuto non per colpa sua fronteggiare un fronte interno che fin dall’inizio, quasi a priori, l’ha avversato. Poi, certo, ci ha messo un po’ del suo, inizialmente più con fuori programma bizzarri che con altro.
Il 6 febbraio 2007, di buon mattino, stupì tutti, si dice anche il Papa, alzando la cornetta del telefono e chiamando in diretta la seguita trasmissione radiofonica «Prima Pagina». E parlò di tutto, di quando giocava a calcio, del sogno di avere una squadra del Vaticano alle Olimpiadi di Pechino, di Franz Beckenbauer riavvicinatosi alla Chiesa grazie al Papa tedesco. Parole innocue, beninteso, ma atipiche per delle orecchie, quelle dei monsignori di curia, restie a uscite del genere.
Quando il 22 giugno 2006 Benedetto XVI ha chiesto a Bertone di prendere in mano la segreteria di stato l’ha fatto perché conosceva bene il cardinale salesiano e si fidava di lui. «Una rivoluzione copernicana», fu il commento che poche ore dopo la nomina rilasciò lo stesso Bertone, stupito forse anch’egli del fatto che per la prima volta, a parte l’eccezione Villot, un Papa puntasse su un non diplomatico. «Ho scelto Bertone per le sue grandi doti e qualità» ha spiegato il Papa riferendosi anche al passato meno prossimo di Bertone, quello della lunga esperienza in ambito universitario e della guida (dal 1991) della diocesi di Vercelli interpretata con l’intraprendenza figlia dello slancio missionario che contraddistingue il suo ordine d’appartenenza. E poi c’è quella storia che i salesiani amano ricordare per suffragare la decisione presa dal Papa di chiamare al proprio fianco un salesiano: Papa Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti, si fidava ciecamente di don Giovanni Bosco tanto che al santo chiedeva spesso consigli su quali sacerdoti portare all’episcopato e con quali incarichi.
Da quando Bertone è in segreteria di stato vaticana molte cose sono capitate. Il suo governo è stato attraversato da crisi importanti: dal caso Boffo al caso Richard Williamson, il vescovo negazionista sulla Shoah. Ma al di là dei singoli episodi è la sua modalità d’azione così poco diplomatica ad aver creato le principali ostilità. Senz’altro i suoi predecessori, Agostino Casaroli con la sua Ostpolitik vaticana, e Angelo Sodano, agivano con tempi e modi diversi. Ma la verità da non dimenticare è anche che il Papa lo ha sempre lasciato al proprio posto, anzi rinnovandogli sempre la propria fiducia.
Sarà ancora così nei prossimi mesi? L’ipotesi dell’avvicendamento col «diplomatico» e di poche, pochissime parole Dominique Mamberti resta in piedi, ma nessuno può dire quale soluzione Benedetto XVI abbia in mente. Né se ne abbia in mente qualcuna. Le ferite sono sintomo di lotta tra fazioni diverse, certo.
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