Bufera su H&M: "Ecco perché ci licenzia"

"Noi licenziati per assumere precari", la denuncia dei dipendenti di H&M

Bufera su H&M: "Ecco perché ci licenzia"

Bufera sul colosso svedese del fast fashion H&M: un’azienda in crescita e florida che, però, intende chiudere quattro punti vendita in Italia. Due solo a Milano, uno a Cremona ed uno a Mestre. Mandando così a casa 89 lavoratori tra i 35 e i 40 che hanno contratti a tempo indeterminato.

Tra le vittime del licenziamento collettivo annunciato lo scorso 19 maggio c’è anche Francesco, impiegato nello store di Corso Buenos Aires che, salvo accordi dell’ultim’ora, chiuderà – assieme a quello di piazza San Babila – il 31 luglio. Il giovane dipendente, dalle colonne di AdnKronos, ha spiegato le ragioni di questo “fulmine a ciel sereno”. “Mentre annunciavano il nostro licenziamento – si sfoga – cercavano anche nuove persone da impiegare con contratti precari e meno onerosi rispetto ai nostri a tempo indeterminato. Sono arrabbiato, ma non mi arrendo”.

“Io ho praticamente aperto lo store di San Babila – fa eco Patrizia Serru, impiegata come vetrinista – e ho contribuito a far diventare H&M il marchio che è oggi. Ci hanno spremuti come limoni. C’era sentore di chiusura, ma mai ci saremmo aspettati questo, si pensava all’apertura di un altro brand che ci riassorbisse”.

A denunciare la linea aziendale che punta a sostituire personale anziano con più agevoli contratti a chiamata è anche il segretario della Uil Tucs di Milano, Michele Tamburrelli: “H&M non è certo in crisi; solo nel 2016 ha chiuso con 756 milioni di ricavi e 16 milioni di utile”. Ed infatti, l’azienda, prima di annunciare la chiusura dei due punti vendita di Milano ne ha aperti altrettanti nelle immediate vicinanze, senza però riassorbire il personale in esubero. “La dichiarazione di esuberi risulta ancora più ingiustificata in considerazione della forte attività di espansione sostenuta dall’impresa, anche in relazione alla recente apertura di diversi punti di vendita a livello di Gruppo e del ricorso spropositato e strutturale al lavoro a chiamata”, denunciano in una nota Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uitucs. Da parte sua, l’azienda si è difesa adducendo ragioni legate alla “sostenibilità economica” dei negozi destinati alla chiusura.

Stamattina, i dipendenti della multinazionale hanno animato il #FashionRebel, presidio organizzato dalla Filcams Cgil e dalla Uil Tucs, andato in scena di fronte al negozio di San Babila, il primo aperto da H&M in Italia 14 anni fa. A macchia di leopardo, anche nel resto della Penisola, si sono registrate iniziative di solidarietà.

Dopo il rifiuto da parte del colosso svedese di ritirare la procedura di licenziamento collettivo, la parola d’ordine sembra esser quella di salvare il salvabile. La vicenda proseguirà quindi al tavolo convocato con l’azienda, il prossimo 23 giugno, dove si discuterà di “ricollocazioni accettabili” ma anche di “eventuali condizioni di uscita dignitose” per gli 89 lavoratori.

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