Prima di ogni considerazione politica, ho simpatia umana e intellettuale per Carlo Calenda: per la grinta, l'ironia, l'intelligenza. Anche per questo mi ha colpito il suo tweet, lanciato ieri alle 7.33: «Devo una spiegazione, ora che Ilva è chiusa, ai tanti che chiedono perché non vado alle feste dell'unità o a incontri sul territorio. Mia moglie ha avuto una recidiva della Leucemia ed è in ospedale per trapianto. Seguo i tre bimbi e lei e non posso allontanarmi da Roma».
Il mio primo istinto, ovvio, è stata la condivisione del dolore, specialmente al pensiero dei tre bambini. Auguri di cuore, Calenda, a sua moglie, a lei, a tutta la sua famiglia.
Poi seguono necessariamente le considerazioni professionali. Perché farlo sapere, e perché su Twitter? I potenti evitano di rivelare i propri stati di debolezza, che inficiano proprio quel loro stato - «potenti» - rendendoli più fragili, meno credibili come guida. Molti commenti si stanno rifacendo all'esempio di Sergio Marchionne, della cui malattia non si è saputo nulla fino all'ultimo. Lo stesso fecero Gianni e Umberto Agnelli per i rispettivi tumori, ma quando si tratta di economia e finanza il caso è diverso, perché comporta ripercussioni svantaggiose in borsa, e bisogna scegliere il momento.
La «borsa» di un politico risente della sua forza fisica, della sua presenza, e della sua disponibilità, non può dichiarare nessun problema personale senza indebolirsi ulteriormente. Un caso per tutti: Mussolini non voleva che si parlasse neanche della sua ulcera.
Credo che, molto semplicemente, Calenda - di fronte alla sua donna in pericolo di vita e ai suoi tre figli, immagino piccoli - non si sia curato di apparire meno potente, e abbia stabilito le priorità, facendo sapere perché è assente, perché non rispetterà gli impegni già presi. Senza fare della psicologia terra terra, badateci, dalla tastiera gli sono uscite «unità» minuscola e «Leucemia» maiuscola. E anche in questo caso ha tutta la mia - spero nostra - simpatia.
Ma perché proprio su Twitter?, si chiedono molti. Questa mi sembra una domanda oziosa, visto che abbiamo l'uomo (forse) più potente della terra (come si diceva una volta dei presidenti americani) che su Twitter passa buona parte della giornata e lì comunica le sue decisioni, prima ancora che al suo governo. È uno strumento che permette un rapporto diretto e immediato con i propri seguaci, i propri oppositori, con chi ti segue per professione o per curiosità. E le reazioni sono immediate. Alle 18.50 di ieri il tweet di Calenda aveva avuto già 14.400 «mi piace», 1.534 retweet, 3.627 commenti, quasi tutti rispettosi e solidali.
Non solo: se avesse seguito la strada tradizionale - un comunicato o una conferenza stampa, un'intervista - avrebbe ottenuto prima le reazioni dei professionisti della notizia, poi quelle dei lettori e dei seguaci, filtrate dai rispettivi organi di stampa. Adesso le ha ottenute direttamente dai suoi oltre 104mila follower, e con ciò ha moltiplicato l'effetto sui media: questo articolo ne è una prova volontaria.
Ho voluto fare una controprova, rilanciando il cinguettio dell'ex ministro con uno mio, il più possibile neutro: «Sto scrivendo un articolo su questo tweet. Qual è il vostro parere?». Il risultato è stato lo stesso. In un'ora sono arrivate decine di risposte, una sola sgangherata («quel ciccione sorosiano mi ha bloccato tempo fa» ecc.), di un tale che ho provveduto subito a bloccare a mia volta. Per il resto, chi approva, chi disapprova l'iniziativa di Calenda, motivando. In quasi tutti prevale il sentimento umanissimo e civile della solidarietà, a riprova che il mezzo è buono, se usato bene e se si filtrano le persone, come sempre si fa nella vita.
Molti, curiosamente, mi suggeriscono di non scrivere l'articolo, e
stento a capire perché. L'unica spiegazione che mi do è allarmante, questa sì: forse duecento battute su Twitter vanno bene, 3.943 su un quotidiano no?Caro Calenda, un grande abbraccio a sua moglie, ai suoi bambini, a lei.
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