Da Charlie Chaplin a ET Le 10 pellicole imperdibili

Volete distogliere l'attenzione dei vostri ragazzi dai videogiochi per far loro conoscere un po' di storia del cinema? Ecco una mini-guida di classici del '900

Da Charlie Chaplin a ET Le 10 pellicole imperdibili

Corso di formazione cinematografica per giovanissimi, tra i 9 e i 14 anni: come diceva quel tale nella pubblicità (quello che col cinema qualcosa aveva a che fare...): «immagina, puoi». Ad essere realisti la si potrebbe qualificare come «Mission: Impossible». Eppure, per citare il sottotitolo di un altro vecchio film di e con Barbra Streisand – il musical «Yentl» - «nothing is impossibile», nulla è impossibile. Quindi, senza armarsi dei sadici ammennicoli che impedivano ad Alex DeLarge/MalcomMcDowell di abbassare le palpebre, per indurlo a vedere una serie di filmati in una celebre scena di «Arancia meccanica», proviamo a pensare alla Situazione Perfetta, momento magico irripetibile, in cui un adulto particolarmente carismatico e cinefilo riuscisse a convincere un giovanissimo, potenziale spettatore a lasciar – provvisoriamente - perdere videogame e filmati You Tube, e accomodarsi a vedere dieci-titoli-dieci più o meno fondamentali della storia del cinema. Dieci “passaggi” audiovisivi dai quali il “paziente” potrebbe emergere con una vaga idea di cosa è stata, dai primi del '900 ad oggi, la Settima Arte. L'ipotesi – titanica – andava posta come premessa, perché non si può nascondere la sua estrema difficoltà.

La seconda premessa è che le torture sono illegali: dunque nel cassetto ci deve finire anche qualsiasi titolo (intendiamo esattamente qualsiasi) di cineasti come Bergman, Fassbinder, Truffaut, Antonioni. Il paziente resta, dopotutto, un ragazzino. La grande macchina dei sogni resta Hollywood, punto e basta. E dunque eccoli i dieci titoli che potrebbero costruire, chissà, un futuro frequentatore di sale cinematografiche: dall'animazione alla fantascienza, per proseguire con la fiaba moderna ottimista, la commedia dal meccanismo perfetto (e dalla battuta finale migliore della storia del cinema), il gangster movie formativo, la lezione di storia sotto forma di satira, il ricordo di cosa era l'Italia nel cinema per il mondo e infine la storia (cantata) di come cambiò il cinema dal muto al sonoro.

A detta di molti, la commedia perfetta è A qualcuno piace caldo, gioiello scritto e diretto nel 1959 da Billy Wilder, interpretato da un trio di protagonisti gigantesco come Tony Curtis, Jack Lemmon e Marilyn Monroe. Perfetto meccanismo a orologeria, la storia vive sulle peripezie di due scalcagnati musicisti costretti a travestirsi da donne per entrare in un complesso jazz femminile, garantendosi la fuga da un pericoloso boss della malavita. Uno dei due (Curtis) si innamora della suonatrice di ukulele, la candida, conturbante Zucchero. Le battute fulminanti, i colpi di scena, la sublime leggerezza di una storia che punta dritto verso la battuta finale più celebre del cinema («Nessuno è perfetto»), la bellezza senza tempo di Marilyn: tutto trasforma questo film in un titolo paradigma della commedia americana. Così come un altro classico in bianco e nero, esempio dell'ottimismo edificante a stelle e strisce che tanto male non farebbe all'umore collettivo di questi tempi è La vita è meravigliosa di Frank Capra, pellicola decisamente âgé del 1946, la cui parabola fiabesca dominata dal miglior James Stewart, però, sembra funzionare attraverso le decadi: per conquistare le agognate ali un angelo di seconda classe scende sulla terra, interrompe l'imminente suicidio di un uomo e lo induce, attraverso un incantesimo, a vedere come sarebbe stata la vita dei suoi cari senza la sua presenza. Se la cornice vintage risultasse difficoltosa, sterzare subito sul discreto remake (a colori...) «The Family Man» (2000), regia di Brett Ratner, protagonista Nicolas Cage. Per restare nella fiaba moderna E.T. di Steven Spielberg, l'Esopo con berretto da baseball del nostro contemporaneo, appare come un titolo irrinunciabile per flirtare con i buoni sentimenti e con il genere della fantascienza. Categoria magica del cinema che esplode in un classico come L'invasione degli ultracorpi di Don Siegel, cult-movie del 1956, ebbene sì in bianco e nero, storia ipnotica e tesa come una corda di violino, dalla quale discendono orde di epigoni (e di remake) più o meno celebri. Gli alieni - certo non buoni come il rugoso e minuscolo E.T. - sono tra noi, ci duplicano attraverso enormi baccelloni verdi e cominciano la loro invasione da una tranquilla cittadina di provincia. Senza somministrare al giovane spettatore le analisi critiche sulla morale da Guerra Fredda alla base del film, basterà affidarsi all'infallibile trama, ricca di thrilling. E a proposito di thrilling, restando saldi sul divano accanto al pargolo si spera un po' più grandicello, Psyco (1960) di Alfred Hitchcock è il titolo «de paura» assolutamente «must» per capire il segreto di un genere che non morirà mai sul grande schermo. In esso c'è tutto: inquadrature ansiogene, fobie amplificate (la doccia, il coltello, la perdita della ragione) e un finale che lascia a bocca aperta. Per restare stupiti di fronte alle magie dell'animazione, del tutto rivoluzionate dall'avvento della computer graphics nel cinema, imprescindibile è il primo titolo di casa Pixar Monsters & co . (2001): in esso ci sono tutti i segreti pronti a esplodere nei successivi «Toy Story», «Up», etc, e cioè una storia solida, un'incredibile immaginazione, morale salda e struggente poesia. Dopo «Monsters & co.», è un fatto, l'animazione non è più stata la stessa. E nemmeno il cinema fu più lo stesso quando passò dal muto al sonoro: per spiegarlo ai nostri figli (questa volta con un diluvio di colore e musica) si potrebbe utilizzare quello che è considerato uno dei film più belli della storia del cinema nonché il «musical perfetto», Cantando sotto la pioggia (1952) di Stanley Donen, con un Gene Kelly memorabile, coreografie di danza, musiche immortali e, naturalmente, la storia di un divo del muto costretto a reinventarsi attore da musical con la rivoluzione del sonoro. La grandezza poetica di Charlie Chaplin, poi, non dovrebbe essere esclusa dal bagaglio, ecco perché un film come Il Grande Dittatore (1940), irresistibile parodia di Hilter e del nazismo, potrebbe lasciare negli occhi dei nostri giovani figli una lezione di storia, di tolleranza e, ci mancherebbe, di cristallina comicità. Titolo simbolo del gangster-movie, duro ma non sanguinoso come quelli scorsesiani dell'ultima ora, è Gli angeli con la faccia sporca (1938) di Michael Curtiz (lo stesso di “Casablanca”), dove un gigantesco James Cagney veste i panni di un gangster idolo dei ragazzini in un quartiere malfamato di New York: al momento giusto, il criminale sa come affrontare la morte sulla sedia elettrica, mantenendo una promessa fatta all'amico d'infanzia, diventato prete. Cioè, smontando il proprio mito e salvando i ragazzini dal suo influsso negativo.

Infine, ultimo titolo, Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica, storia di un padre e di un figlio, di una bicicletta rubata e di un'Italia uscita stremata dalla guerra. Un capolavoro tutto italiano che, con il suo poetico realismo, ricorderebbe ai nostri giovani spettatori un passato artistico nazionale, di cui andare orgogliosi, ma oggi sempre più difficile da tenere alto.

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