È quella sensazione da colpo di grazia. Alle spalle, però. E dall'alto, come i cecchini. È una frase: l'Italia è un Paese a «bassa auto-propulsione, che non ritrova il gusto del rischio», dice il Censis, nel suo rapporto annuale. È come fare una foto senza capire il soggetto. L'Italia non ha perso il gusto del rischio: all'Italia non è consentito rischiare. Perché si rischia se c'è almeno la speranza del successo.
Non è mai servita la certezza, bastava la possibilità. Ma se non si può neanche pensare di vincere, non si può rischiare. Anzi: senza l'auspicio del successo non può neanche esistere il rischio.Un italiano che oggi voglia fare impresa bussa all'inferno: lavora, paga i dipendenti, poi per incassare i ricavi delle sue prestazioni impiega tra 93,6 e 97,4 giorni se il rapporto è tra privati. Se c'è di mezzo un committente pubblico l'attesa sale a 120,5 giorni. Ci sono grandi aziende del parastato che strangolano i loro fornitori facendoli penare nove mesi prima di essere pagati e se provano ad alzare la testa - neanche la voce - si sentono rispondere che o è così oppure saranno tagliati fuori; c'è un diritto fallimentare che non ti garantisce minimamente se l'azienda che ti deve dei soldi fallisce.
C'è un sindacato che è fermo alle trattative anni Settanta che impallina imprenditori e persino un governo di sinistra che ogni tanto ne dice una giusta (come ha fatto Poletti sull'orario di lavoro, o com'è successo con il Jobs act). Ci sono ancora gli scioperi che paralizzano le città. C'è persino chi si lamenta degli investimenti esteri in Italia e vorrebbe che fossero limitati. C'è una carenza infrastrutturale mostruosa che un anno fa portò l'amministratore delegato di Google a dire che non avrebbe mai aumentato i suoi sforzi in Italia perché senza banda larga è un Paese che non ha futuro. Ma di cosa stiamo parlando? Con una situazione così e i suoi relativi numeri parlare di «gusto del rischio» è quel colpo da cecchino sparato dall'alto, alle spalle. La verità è che siamo qualche gradino prima del gusto.
Siamo all'opportunità del rischio. Ovvero all'inopportunità. Cioè: non c'è l'incentivo a provarci, non c'è la spinta a mettersi in gioco. Se aumentano gli italiani che il lavoro neanche lo cercano è un problema più grande della disoccupazione, ed è un altro esempio di come non si tratti del gusto di rischiare, ma della possibilità di farlo.È un Paese in cui mancano le condizioni fondamentali per lasciare che qualcuno ci provi.
E questa è la più grande responsabilità dello Stato e di ciò che gli sta intorno, Censis compreso. Gli italiani che rischiano ci sono. Semplicemente non lo fanno in Italia. Il gusto non c'entra per niente.Giuseppe De Bellis- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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