Cosa fareste se il vostro vibratore potesse parlare? O, se proprio non parlare, potesse registrare, archiviare, e inviare all'azienda produttrice tutti i dati rilevati durante il suo utilizzo.
Una donna dell'Illinois non ha avuto dubbi e ha deciso di fare causa alla ditta produttrice di vibratori smart, la canadese Standard Innovation, dopo aver scoperto che l'applicazione collegata al suo "We-Vibe Ravè", oggetto di piacere di ultima generazione, salvava e inviata alla ditta i dati sensibili riguardanti il suo utilizzo: orari, durata delle sessioni e intensità della vibrazione.
Il sexy toy, collegato alla sua applicazione, avrebbe dovuto garantire una serie di innovazioni hi-tech per accendere la passione sia singola che di coppia, come ad esempio l'attivazione dell'apparecchio anche a distanza solo attraverso lo smartphone e la videochat.
Secondo Edelson - lo studio legale al quale la donna si è affidata che vuole trasformare la singola denuncia in una class action - Standar Innovation riceve e archivia ogni dettaglio sull'utilizzo del giocattolo erotico senza fornire notifiche in merito agli acquirenti.
Eve-Lynn Rapp, uno degli avvocati che gestisce la causa, ha dichiarato al Chicago Tribune: "È uno dei casi di violazione della privacy più incredibili con cui abbiamo mai avuto a che fare". E secondo l'avvocato i dati raccolti consentirebbero di risalire ad ogni singolo utente grazie all'email di registrazione dell'applicazione.
Dalla Standard Innovation, arrivano le prime difese.
Il portavoce Denny Alexander fa, infatti, sapere:" Raccogliamo alcuni dati limitati per poter migliorare i nostri prodotti e per ragioni di diagnostica. Come pratica, usiamo questi dati in maniera aggregata e non identificabile".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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