«Scusami, sai ma proprio non posso, ormai ho una certa età», mi disse Giampaolo un paio di anni fa, quando lo invitai a un convegno. Lì per lì ci rimasi male, e andai a vedere la sua data di nascita su Wikipedia: 1935, non un vecchio ma abbastanza per non avere voglia di muoversi dal borgo toscano dove ormai passava la maggior parte del tempo. Dovetti ricordare che ero molto giovane, quando leggevo la sua rubrica Chi sale e chi scende sull'Espresso, e poi il micidiale Bestiario, dove ogni settimana colpiva e affondava un personaggio pubblico, in genere politici. Dunque non aveva accampato scuse per non venire al mio convegno, è che a leggere i suoi articoli sembrava ancora un trentenne nel pieno delle forza. E fu pieno di forza quando cominciò a scrivere sulla Resistenza, sfatandone prove documentarie alla mano molti miti e luoghi comuni. Da allora, peggio che revisionista, venne bollato come voltagabbana, opportunista, traditore. Non lo era, semplicemente aveva studiato, molto più di quando si era laureato proprio un saggio sulla Resistenza, secondo i canoni degli anni Cinquanta. E aveva capito che libri come il classico Storia della guerra partigiana di Roberto Battaglia, del 1953, erano frutto di una visione politica di parte, più che di una serena analisi storiografica. Battaglia rifiutava di considerare che nel 1943-'45 avessimo avuto una guerra civile, tesi che invece verrà dimostrata da un altro storico di sinistra, Claudio Pavone, con un libro intitolato proprio Una guerra civile (1991). È vero che Pansa riprese tesi di ex fascisti rimasti fascisti, come Giorgio Pisanò, ma si trattava di fatti spesso incontrovertibili.
Non so quanto si sia davvero divertito o abbia sofferto per gli insulti degli ex amici, ne rideva, ma di certo la storiografia italiana e la società italiana gli debbono molto: ha infranto un tabù, arrivando a un pubblico vastissimo che saggi come quelli di Pavone non avrebbero mai raggiunto.@GBGuerri
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