"Non è un allarme, ma chiediamo che venga innalzato il livello di attenzione: il virus circola ancora". È il monito lanciato da Andrea De Maria, professore associato di Malattie infettive all'Università di Genova e virologo di fama internazionale che, dal 1989 al 1991, ha lavorato con il consulente per l'emergenza sanitaria di Donald Trump, il professor Anthony Fauci.
De Maria ha analizzato i dati che emergono dal modello matematico elaborato insieme a Flavio Tonelli, professore di Simulazione dei sistemi complessi nello stesso ateneo, e all'esperto di sviluppo di modelli software Agostino Banchi. Da una meticolosa osservazione dei risultati emergono indicazioni significatiche circa l'andamento epidemiologico in Lombardia. Sebbene, infatti, i contagi sembrerebbero essere in calo, in realtà il virus circolerebbe ancora tra la popolazione: "Se ci si concentra sulla Lombardia e al Nordovest, - spiegano gli esperti alle pagine de La Repubblica - si vede che rispetto alla discesa prevista dal nostro modello si assiste a un tendenziale aumento dei casi".
Dunque, ci sarebbe una netta discrepanza tra andamento previsto e i numeri reali dell'epidemia, complice l'assenza di una comunicazione tempestiva tra le Regioni in merito ai dati territoriali. La preoccupazione di De Maria è che, di questo passo, una seconda ondata sarà difficile da scongiurare: "Se i casi sono così tanti ora che le temperature sono alte, cosa succederà in autunno quando il termometro scenderà sotto i 14 gradi?". Il modello matematico elaborato in collaborazione con Flavio Tonelli e Agostino Bianchi, è da considersi più che attendibile: "Ha dimostrato di essere utile perché ci ha permesso di individuare il picco dei nuovi casi giornalieri in Italia (tra il 25 e il 27 marzo) con 20 giorni di anticipo. Non solo. - aggiunge Tonelli - Le elaborazioni ci dicevano che a fine giugno avremmo contabilizzato tra i 34.000 e i 36.000 decessi: oggi siamo a 34.600. Ora quegli stessi algoritmi ci dicono che se la situazione corrente dovesse mantenersi si potrebbe avere una estensione dei contagi, molti dei quali asintomatici o paucisintomatici, che aumenterebbe pericolosamente la base dell'infezione prima dell'autunno".
Secondo gli esperti, la situazione relativa al trend infettivo, in Italia è meno rosea di quel che sembra. "In altri Paesi con numeri assai più bassi hanno richiuso quartieri e intere città: è il caso di Seul a fine maggio", sottolinea Tonelli. "D'altra parte la Corea del Sud, grazie al suo modo di affrontare la pandemia, ha avuto 20 volte meno i contagiati dell'Italia e 120 volte meno vittime''. Dovremmo dunque tornare ai giorni del lockdown? ''Sarebbe una follia richiudere le città per un focolaio come quello del San Raffaele a Roma", avverte Bucci.
Il mantenimento delle misure anti-contagio, ora più che mai, sembrano l'unica via percorribile per arginare il rischio di una seconda ondata: "E' folle dire che le mascherine o il distanziamento non servono più perché i contagiati attuali non sono infettivi. - spiegano gli esperti - Il vero problema è che in questi giorni sono state fate una serie di affermazioni senza esibire alcuna prova scientifica: non ci sono dati pubblicati esaminabili dalla comunità accademica. Vale per tanti aspetti di questa vicenda: chi ha sintomi lievi è meno contagioso? Esistono indizi, ma non ne siamo certi. Il Covid-19 è sensibile alla temperatura e all'umidità? È vero per altri coronavirus, ma per questo in particolare ancora non lo sappiamo. Mi piacerebbe che i colleghi distinguessero chiaramente tra loro ipotesi personali e verità assodate, perché altrimenti inducono le persone ad avere comportamenti sbagliati".
La stessa preoccupazione è stata espressa dal virologo Andrea Crisanti, direttore di Microbiologia e Virologia dell’Università di Padova nonché consulente della Regione Veneto per l'emergenza sanitaria. "Con tutte le riaperture esiste la possibilità di una seconda ondata, anzi direi che è una certezza. I virus mutano, è diminuita la carica virale perchè con le varie precauzioni una persona infetta passa meno virus alle altre". Una delle criticità ancora irrisolte dell'epidemia concerne l'identificazione dei cosiddetti ''asintomatici'': sono contagiosi quanto una persona con sintomi evidenti oppure no. Categorica la risposta del virologo: "Con dei test effettuati in Veneto abbiamo la certezza che gli asintomatici possano trasmettere il virus proprio come chi riporta i sintomi.
Se il virus già era presente da gennaio e non c’erano grandi sintomi tra gli italiani - spiega il virologo - vuol dire che circolava tra gli asintomatici. In molte malattie gli asintomatici sono molto più infettivi dei sintomatici, per esempio varicella e tubercolosi".
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