Così Milano annega nel degrado per colpa dell'immigrazione

L'accoglienza colabrodo deturpa la città meneghina. Dai bivacchi dei profughi alla stazione Centrale fino alle favela di immigrati sotto la tangenziale est

Così Milano annega nel degrado per colpa dell'immigrazione

La pioggia non fa che evidenziare le falle di un sistema. E l'acquazzone che si è abbattuto ieri su Milano ha dimostrato (se ce n'era bisogno) che in Italia le politiche migratorie non funzionano. Sono tre i simboli di questa inefficienza: i richiedenti asilo abbandonati nei giardini della stazione Centrale, i profughi accampati sotto la tangenziale est per Linate e gli immigrati costretti a dormire sotto le stelle a due passi dal centro di accoglienza di via Sammartini. Una confusione che produce quel degrado che nemmeno la pioggia può lavare via.

I milanesi che passano vicino ai piloni della tangenziale est lo definiscono un “colpo al decoro”. Si tratta di un accampamento di circa 30 profughi afghani e pakistani, senza documenti e senza controllo (guarda il video). Hanno il cavalcavia come tetto e un letto di legno per riposarsi. Cucinano con fuochi a fiamma libera e vivono in mezzo alla sporcizia. Per Paolo Bassi, presidente del IV Municipio, sono un “pericolo per la sicurezza e un ostacolo allo sviluppo del parco Forlanini” che corre lì vicino. Proprio quel parco dove gli immigrati vanno a lavarsi e a prendere l'acqua: “Camminiamo per un'ora e mezzo nei campi per riempire queste grandi taniche - racconta Amal – a volte dobbiamo dormire ai giardini perché è troppo buio per tornare”. Almeno due volte al giorno raggiungono il laghetto che è diventato la loro enorme vasca da bagno. Mentre li accompagniamo, passiamo di fianco a due fontane di acqua pulita, che però ignorano: “Ci vorrebbe troppo tempo per riempire le taniche – spiega Amal – così preferiamo prenderla da quel tubo che scarica sul lago”. Non sanno se l'acqua è buona, “chiediamo aiuto a Dio affinché non ci faccia ammalare”. Ma non basta. Più volte infatti hanno avuto problemi intestinali causati dai batteri che ingeriscono bevendo. La situazione igienica è drammatica, per loro come per i genitori italiani costretti a incontrarli quando portano i bimbi a giocare vicino al laghetto.

La musica non cambia a pochi metri dalla Mela di Pistoletto di fronte alla stazione Centrale, dove incontriamo un gruppo di migranti etiopi (guarda il video). Con le poche parole d'inglese che conoscono, spiegano che nel centro di accoglienza non c'è posto per loro e per questo sono costretti a dormire in strada. Pensavano di raggiungere l'Eldorado e si sono trovati ad essere involontariamente parte integrante del degrado milanese. “In Etiopia ci dicevano che l'Italia era bella – racconta Hassan – ma ora abbiamo visto la verità con i nostri occhi e vogliamo andare via”. Difficile biasimarli.

Mentre parliamo il cielo tuona e si mette a piovere. I migranti si radunano sotto uno degli alberi della piazza. “Per mangiare ci affidiamo alla solidarietà dei connazionali che qui in Italia hanno trovato un lavoro – aggiunge Hassan - ma per andare in bagno dobbiamo accontentarci dei giardini pubblici”. Poco distante un barbone dà l'esempio, orinando tra i cespugli.

Viene da chiedersi: perché accettare l'orrore di un'accoglienza difettosa che non fa che produrre degrado? “Le istituzioni nazionali e regionali devono assumersi le proprie responsabilità – ha detto ieri Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali - Noi abbiamo fatto un grande lavoro ma è evidente che la città da sola non può farcela”.

Eccolo, allora, questo “grande lavoro” applicato al centro di accoglienza di via Sammartini. Samuel, Anita, Fatima, Elias e Marta vengono dall'Eritrea. I nomi sono falsi, è ovvio, e lo si percepisce dal sorriso con cui li scandiscono. Sotto il diluvio si coprono solo con un telo di plastica che a malapena li contiene tutti. Da cinque giorni dormono nei giardini di fronte all'ingresso dello Sprar. Non possono mangiare alla mensa “perché ci spingono fuori” e hanno “bisogno di vestiti e di cibo” (guarda il video).

“In Eritrea il regime ci combatteva – grida Samuel - e qui il vostro governo ci abbandona in questo giardino”.

Un ragionamento simile a quello di un signore che passeggia lì vicino con il cane: “Io pago le tasse: perché devo sopportare questo degrado?”. Non dovrebbe, ma è questa la naturale conseguenza dell'accoglienza senza condizioni.

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