Ecco qual è la vera letalità del Coronavirus

In Italia, il tasso è molto più alto rispetto a quello di altri Paesi. Il ricercatore dell'Ispi: "C'è una stretta relazione tra le politiche di test e la letalità apparente". Le stime sui contagi: "Circa 530mila persone"

Ecco qual è la vera letalità del Coronavirus

Il tasso di letalità del Covid-19 in Italia fa molto discutere. Infatti, se paragonata ai principali Paesi colpiti dal virus, la Penisola ha registrato una letalità molto più alta, che oggi si attesta intorno all'8%, ma che il 24 marzo ha toccato il 9,9%.

Un numero che può fare paura ma, in realtà, questo dato non dice molto circa la vera letalità del Sars-CoV-2 in Italia. Infatti, la differenza italiana può essere attribuita anche al numero di persone contagiate, ma non sottoposte a tampone, che farebbero impennare il numero dei casi positivi nel nostro Paese. A spiegarlo, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, è Matteo Villa, un ricercatore dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), che ha analizzato i dati sui decessi nel corso della pandemia.

Letalità e mortalità

Letalità e mortalità sono due concetti diversi, che non vanno confusi tra loro. Nel primo caso, infatti, si fa riferimento al numero di vittime, in relazione con il totale dei casi positivi, mentre nel secondo caso si indicano i decessi rispetto alla popolazione totale. Ma il problema nel calcolo della letalità nasce spesso dalla differenza tra quella apparente (Cfr) e quella plausibile (Ifr). Come spiega Villa, "nel corso di un’epidemia, l’unico modo che abbiamo per capire chi sia contagiato è sottoporre una persona a un test, ed è naturale che non si testi l’intera popolazione di persone contagiate". Per questo, la letalità apparente, data dalle vittime in rapporto ai contagi confermati, è un dato certo, ma poco utile, mentre il calcolo della letalità plausibile risulta complicato, dato che deriva dal rapporto dei deceduti con i contagiati totali.

E il tasso del 9% è riferito alla letalità apparente, che quindi è poco utile per stabilire il comportamento della pandemia all'interno del Paese.

La differenza dell'Italia

Il ricercatore dell'Ispi ripercorre le tendenze della malattia in Italia, dai primi giorni della pandemia, quando la letalità si attestava intorno al 3%, fino al 24 marzo, quando il tasso ha raggiunto il 9,9%. Ma qual è il motivo di questa tendenza, così diversa rispetto agli altri Paesi? Secondo Villa, le cause sarebbero da ricercare nel "cambio di politica sui tamponi, richiesto alle Regioni da parte del Governo italiano, per adeguarsi alle raccomandazioni dell’Oms". Infatti, spiega l'autore dell'articolo, "fino al 28 febbraio diverse Regioni avevano cominciato a effettuare tamponi su un campione relativamente vasto di popolazione, testando anche molte persone asintomatiche (per esempio i contatti diretti delle persone positive). I casi, dunque, emergevano prima di quanto accadesse in altri Paesi. Dal 28 febbraio in avanti le Regioni hanno iniziato ad adeguarsi alle richieste del Governo", che hanno ridotto i tamponi, per adeguarsi alle raccomandazioni dell’Oms, sottoponendo ai test solo i sintomatici.

Ma non solo la letalità italiana è diversa rispetto a quella degli altri Paesi europei. Essa, infatti, risulta variabile anche da Regione a Regione, con la Lombardia che raggiunge il 13,6%, mentre la Basilicata rimane ferma all'1,1%. Questa variabilità interna, spiega Villa, può essere ricondotta alla politica dei tamponi: "Se una Regione effettua pochi test, sottoponendo a tampone solo le persone sintomatiche o persino solo quelle gravi, è lecito attendersi che per ogni tampone fatto emergano molti casi positivi. Viceversa, se una Regione sottopone a tampone una parte più consistente di potenziali contagiati, dando la caccia anche alle persone asintomatiche o paucisintomatiche, ci attendiamo che abbia una percentuale di casi positivi per tampone nettamente più bassa". Quindi, conclude il ricercatore, "c’è una stretta relazione tra le politiche di test e la letalità apparente".

La letalità plausibile

Il Cfr, quindi, non è una misura attendibile, perché dipende dalla politica sui tamponi messa in atto. Il dato veramente utile per capire l'andamento dell'epidemia, invece, sarebbe il tasso di letalità plausibile (Ifr). Secondo le stime dell'Ispi, attuate tenendo conto dell'età della popolazione italiana, più anziana rispetto a quella di altri Paesi, "la letalità plausibile della malattia in Italia si aggira intorno all’1,14% (intervallo di confidenza del 95%: 0,51% – 1,78%)".

I contagi in Italia

Ma i ricercatori dell'Ispi si sono spinti oltre e hanno stimato anche le persone contagiate realmente dal virus. Per farlo, spiega Villa, "è sufficiente dividere la letalità apparente per quella plausibile, ottenendo un moltiplicatore da applicare ai casi ufficiali. Alla cifra così ottenuta sarà poi necessario sottrarre il numero delle persone plausibilmente guarite, che stimiamo utilizzando la percentuale dei guariti tra i casi ufficiali". Il risultato è che "la popolazione di casi attivi (contagiosi) plausibili sia a oggi quasi dieci volte più alta dei casi ufficiali, nell’ordine delle 530.000 unità contro i 54.030 casi ufficiali". Ma, aggiunge l'esperto, "l’incertezza attorno a questa stima è piuttosto ampia: si va da un minimo di 350.000 casi a un massimo di 1,2 milioni di persone contagiose attualmente in Italia". È possibile, però, che alcune vittime non vengano censite tra quelle positive al Covid-19, per mancanza di tempo: per questo, si potrebbe rendere necessaria una revisione "al rialzo della nostra stima di casi plausibili di contagio nelle aree più colpite".

Il post emergenza

"È inevitabile- sottolinea Matteo Villa-procedere con misure di lockdown, per evitare che le tante persone malate e non monitorate contagino un numero elevato di persone sane". E per il post emergenza sarà necessario trovare e censire "le persone potenzialmente ancora contagiose", così da tenere sotto controllo l'epidemia.

Anche perché, se anche il virus avesse contagiato 1,2 milioni di persone, "si tratterebbe ancora soltanto del 2% della popolazione italiana. Saremmo dunque ancora molto lontani da una diffusione del virus nella popolazione generale sufficientemente ampia da avvicinarsi alla famosa 'immunità di gregge', ottenendo l’effetto di rallentare nuovi contagi".

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