Dopo gli attentati di Parigi, il rischio per noi occidentali di cadere nella spirale della diffidenza verso l’Islam e i fedeli musulmani è davvero forte. Ed è forte anche il rischio che l’Islam, nonostante gli sforzi di alcuni buoni maestri, venga interpretato nel peggiore dei modi anche qui da noi. È quello che è successo con il ragazzo italo-tunisino, che ai microfoni di Quinta Colonna, la trasmissione di Rete 4, condotta da Paolo Del Debbio, l’altro ieri aveva giustificato la strage di Charlie Hebdo, perché “se offendono il Profeta”, allora va bene tutto, pure ammazzare, e che ieri è stato arrestato per spaccio ed incitamento all’odio razziale, etnico e religioso. Eppure anche ilGiornale.it lo aveva intervistato lo stesso giorno, e a noi aveva dato tutta un’altra versione. Anzi, diciamo pure una versione opposta, e sicuramente in linea con l’Islam “moderato” che viene insegnato al centro islamico al-Huda di Centocelle a Roma, dove lo avevamo incontrato.
Quanto è difficile quindi, anche se ci si sforza di controllare e monitorare chi frequenta le moschee e i centri islamici, sapere chi veramente interpreta l’Islam e il Corano nel modo giusto e chi invece si lascia trascinare da discorsi più radicali? E qual è il confine tra queste due interpretazioni? Lo abbiamo chiesto nuovamente al presidente del centro islamico al-Huda, dal quale siamo tornati a chiedere chiarimenti. Ben Mohamed Mohamed ci ripete che nel centro si insegna il vero Islam, non quello “dell’Isis e di Al Qaeda” e che il ragazzo lo conoscevano un po’ tutti “perché frequenta la moschea”. Ma in lui il presidente del centro non ha “notato niente di strano”. Quindi anche se il ragazzo è un assiduo frequentatore del centro, anche se poi Mohammed si corregge dicendo che “non frequentava poi molto”, in realtà, come conferma il presidente, non è facile conoscere quello che passa per la testa di ognuno. “Non possiamo controllare chi assiste alla preghiera del venerdì, chi entra, chi esce o chiedere come uno la pensa”, dice il presidente del centro. E allora si pone un problema di sicurezza, pensiamo noi. Perché se il confine tra un’interpretazione corretta di questa religione e una più radicale è così labile, allora forse questi luoghi di culto dovrebbero essere più controllati e monitorati.
Comunque il presidente ci rassicura che sebbene al centro al-Huda non condividano il lavoro che svolge Charlie Hebdo, le cui vignette per il centro sarebbero “offensive per una comunità islamica di oltre un miliardo e mezzo di persone”, qui non si giustifica il “rispondere ai disegni con le armi”. Poi Mohammed, che prima aveva criticato il ragazzo dell'intervista, spiega che, forse, ai microfoni di Quinta Colonna intendeva dire proprio questo. “Probabilmente si espresso male riguardo Charlie Hebdo, non ha saputo esprimersi, voleva dire solo che hanno offeso i musulmani”, afferma infatti Mohamed.
Il problema della sicurezza e del controllo comunque se lo pongono anche dentro la moschea, secondo quanto afferma Rifat Aripen, il giovane responsabile culturale del centro. “La sicurezza è una cosa che riguarda anche noi, anche noi vogliamo più controlli da questo punto di vista, perché in questo modo possiamo riconoscere le persone che deviano, con i comportamenti, da quello che viene insegnato in questo centro”, spiega il ventunenne, “ma questo è un lavoro che devono fare la Polizia e gli addetti alla sicurezza”. “Noi da parte nostra siamo pronti a denunciare se vediamo qualcosa che non va”, aggiunge.
“Un centro culturale o una moschea da questo punto di vista”, conclude Rifat, “ha quindi un ruolo molto importante perché qui ci conosciamo e se ci sono comportamenti strani possiamo segnalarli, mentre se uno si forma da solo in casa, per esempio imparando l’Islam dalla rete, allora sì che c’è il rischio di derive radicali, mentre nelle moschee educhiamo le persone a stare lontano da questo”.
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