«Un bambino di nove anni è uscito da scuola, è salito sullo scuolabus - così battono le agenzie - e ha convinto l'autista a portarlo in un paese vicino, nel Canavese, a casa della fidanzatina ammalata». È una notizia da prima pagina, questa? Sì, lo è. Anzitutto perché abbiamo bisogno di intenerirci per qualcosa, fra tante rogne quotidiane e le notizie rognose che vedete intorno a questa. La storia sembra una di quelle, brevi e tranquillizzanti, che si leggono appunto ai bambini, la sera, per farli addormentare con un sorriso. Di solito c'è anche l'illustrazione, la possiamo immaginare. Il bambino è magro, bellino, ha un'aria timida e insieme spavalda, da monello all'antica, nonostante il taglio di capelli punk. Non ha la divisa, frequenta una scuola pubblica, terza elementare, indossa una camicia colorata, i jeans, e porta sulle spalle l'enorme zaino che non si capisce perché tanto enorme i bambini d'oggi devono portare come se partissero per la campagna di Russia.
L'autista sembra burbero, ma è bonario. Se la storia fosse ambientata nell'Italia degli anni Cinquanta avrebbe la faccia e la mole di Aldo Fabrizi, se nell'America degli stessi anni, quella maschia e dolce di Spencer Tracy. Prima strapazza un poco il bambino, chiamiamolo Francesco, poi quando vede la delusione sul suo viso si intenerisce, pensa ai figli suoi, che sono grandi, e studiano all'università, lontano, e a quando andava a scuola lui a piedi ed era innamorato di quella ragazzina che non ci si poteva neanche parlare perché ai suoi tempi femmine e maschi non erano nella stessa classe. «Dai, sali!». Eccoli davanti a casa della bambina, chiamiamola Francesca. Lo scuolabus non si è mai fermato lì, Francesco scende e suona, ha portato per lei un disegno che ha fatto in classe, mentre progettava l'impresa. C'è lui, da solo, che guida il furgone colore arancio, diventato immenso.
Gli apre la mamma di Francesca. Oggi non ha potuto andare al lavoro, per stare vicina alla sua bambina, anche se è soltanto un'influenza. È sorpresa, ma contenta, Francesca avrà compagnia. Francesco le ha anche portato i compiti, e dice una bugia a fin di bene: sì, ha avvisato la sua mamma.
Francesca è bionda e ha gli occhi azzurri, un poco pallida, bellissima nella sua stanza che Francesco non aveva mai visto, piena di quelle cose che hanno le bambine, tanto rosa. Si salutano senza toccarsi, come fanno i piccoli, e si raccontano, giocano, scherzano. «Una merenda?» chiede la mamma, arrivando con due belle fette di pane e Nutella, latte e telefonino in mano: «Ora chiamo la tua mamma, Francesco».
E patapunfete! «Ma dove sei? Cosa fai lì, come ci sei arrivato!?». È preoccupatissima, aveva scritto alla maestra che sarebbe andato a prenderlo lei, invece un'altra mamma l'ha avvisata di averlo visto sulla scuolabus. Quasi piange, di sollievo. Corre a prenderlo, le due mamme si abbracciano, placate, entrano nella stanza di Francesca, li trovano mentre completano il disegno. Ora sullo scuolabus c'è anche lei.
La storia è finita. Pietro Tancredi Guerri, che compirà sette anni fra 22 giorni, si è addormentato sulle ultime parole, deve essergli piaciuta, se ha retto fino a lì.
Invece no, la favola bella non è finita lì, né in quel modo. Forse ne nascerà una polemica nazionale ah, le polemiche, sale della nostra vita e domani ne rileggerete sui giornali: opinionisti, pedagogisti, un criminologo, sindacalisti, funzionari del Miur, forse interverrà addirittura il ministro, che ha pure insegnato educazione fisica. Di certo la chat della classe di Francesca e Francesco è tutta un ribollire. L'autista deve essere ripreso! Anche un licenziamento ci starebbe bene... E la maestra, la maestra non ha letto la nota della mamma di Francesco: le aveva ben scritto che sarebbe andata a prenderla lei... E la direttrice, la direttrice che fa, che dice?
Le chat delle scuole (dette volgarmente ma non troppo erroneamente «chat delle mamme»), da utile strumento di consultazione per piccoli problemi pratici sono diventate quasi subito luoghi di dibattiti stellari sui massimi sistemi pedagogici, resi democraticamente alla portata di tutti, con sottochat carbonare ad alleanze variabili pronte all'assalto di qualsiasi ostacolo, di qualsiasi cosa che sembri ledere l'enunciazione «il figlio è mio e me lo gestisco io». Le televisioni lo sanno e ci daranno acute e pensose analisi sul tema responsabilità/rischio/autonomia/didattica/libertà/regole. Ogni cosa deve diventare oggetto di discussione, tesi e controtesi, innocentisti e colpevolisti. E chi se ne frega, della favola bella.
Mentre rimbocco la coperta leggera a Pietro, penso che domattina accompagnandolo a scuola (non prende lo scuolabus)
eviterò di raccontargli il seguito. Lo racconto, immaginandolo, a mia moglie. Lei sorride e mi mostra il cellulare, se ne parla già sulla sua chat. Dice la signora XXXXX: «Io l'autista lo corcherei di mazzate!!!».@GBGuerri
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