Le grandi agenzie di rating hanno la facoltà di declassare o di promuovere le prestazioni economiche. Ma chi contribuisce all'aumento dei loro fatturati? Chi sono i loro principali "clienti"?
Si parla, per una di queste, di incrementi superiori al 15% su base annua. Come riportato dall'edizione odierna de La Verità, per poter analizzare il fenomeno, bisogna tenere a mente soprattutto tre sigle: Fitch, Moody's e Standard and poor's. Queste appena citate sono le agenzie più conosciute. Le cosiddette "big three", di cui si è iniziato a discutere soprattutto dopo la grande crisi economica recessiva, quella partita dal mercato immobiliare e scoppiata nel dicembre del 2007.
Ma se è ormai chiaro ai più il ruolo che svolgono nell'esprimere giudizi sulle economie altrui, un aspetto di cui si parla con meno frequenza, invece, è legato all'origine dei pagamenti a loro destinati. E ai possibili "incastri".
Secondo quanto scritto dal quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, esistono almeno due tipologie di clientela: quella relativa agli enti che stanno attendendo la pubblicazione di un parere ufficiale sulla salute dei loro conti e quella inerente ai singoli investitori che vogliono monitorare, con costanza, il rendimento dei loro investimenti sui mercati finanziari. Per capire, insomma, se si sta andando nella giusta direzione o se si sta sbagliando di netto. Queste sono le due categorie con cui lavorano le "big three".
Viene specificato, poi, che queste agenzie sceglierebbero spesso di "farsi pagare dall'emittente dell'investimento, sia questo un Paese o un'azienda che sta per emettere un'obbligazione...". Il motivo di questa opzione sarebbe deducibile con semplicità (la trasparenza), ma c'è anche chi ha messo in evidenza la presunta esistenza di un "conflitto d'interessi". Difficile, insomma, ipotizzare che qualcuno paghi con gioia, mentre sta per ricevere un brutto voto sul suo operato. Ecco perché, in alcune circostanze, i giudizi finirebbero per essere soppesati.
La Verità parte da Moody's: "Il primo azionista di questo gruppo da quasi 6.500 dipendenti è Warren Buffett, con la sua holding Berkshire Hathaway. Successivamente, compaiono in ordine Capital World Investment, ValueAct Capital, T. Rowe Price, Vanguard, State Street e BlackRock". Questi sarebbero "tutti operatori di risparmio gestito che producono fondi di investimento e che, a loro volta, sono giudicati da Moody’s". Ecco tornare, insomma, la presunzione d'esistenza di una sorta di conflitto d'interessi. Anche le finanze di Standard and poor's godrebbero di ottima salute. Il ricavato, rispetto all'anno passato, sarebbe aumentato del 7%. E per quanto riguarda i soci? Alcuni sarebbero i medesimi di Moody's. Un fattore comune a tutte e tre sarebbe costituito dal numero di dipendenti: migliaia. Fitch, in questa classifica, si posizionerebbe terza, con 'solo' 3mila dipendenti.
Ma il punto più delicato pare quello relativo al "legame" tra l'ente che "controlla" e chi che "deve essere controllato". Un intreccio che viene definito "labile". Quasi come se, alcuni degli enti destinati a ricevere un voto, facessero parte a loro volta del gioco.
Moody's e Standard and poor's si esprimeranno sul Belpaese entro il mese d'ottobre. Dopo la discussione sul Def e le bocciature già inoltrare all'esecutivo italiano da Bruxelles. La sensazione è che tra i banchi del governo ci sia più di qualcuno preoccupato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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