Gli estremisti delle nostre vite

Viaggio tra i fondamentalisti della porta accanto: dai nazi-vegani ai dittatori del piatto, quelli che vogliono imporci le loro ideologie

Gli estremisti delle nostre vite

Pubblichiamo un estratto del libro di Domenico Ferrara, "Gli estremisti delle nostre vite", in edicola dal 3 novembre in allegato a ilGiornale. Un viaggio attraverso i fondamentalisti della porta accanto: dai nazi-vegani ai dittatori del piatto passando per gli ecologisti estremi e altro ancora. Insomma, quelli che trasformano scelte di vita personali in ideologie da imporre a tutti.

Vogliono metterci le catene. Non siamo più liberi. E non c’entra la libertà filosofica né la distinzione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Qui parliamo di arbitrio. E di estremismo. C’è una parte della società di oggi che cerca non tanto di inculcarci delle dottrine (ché sarebbe un fine legittimo che garantirebbe almeno la facoltà di non partecipare alle lezioni) quanto di imporci dei paradigmi, degli stili di vita, dei regimi alimentari. È una parte della società che mina nel profondo la nostra libertà di scelta. E, il più delle volte, lo fa con la violenza fisica o verbale, con l’allarmismo sociale o ancora con il terrorismo psicologico. Sono i talebani delle nostre vite. Gli estremisti della quotidianità. I portatori malati di un pernicioso nazismo delle idee. Quello che confina i disertori in un ghetto sociale, i cui componenti vorrebbe che diventassero una minoranza sempre meno influente. E soprattutto meno libera. Il verbo che loro diffondono è il solo possibile, quello giusto. Alla faccia del rispetto delle opinioni altrui.

Si dice che la nostra libertà finisca dove inizia quella degli altri. Ma loro, gli altri, non conoscono confini. E, soprattutto, non credono nella libertà del prossimo, anzi, fanno di tutto pur di contrastarla e demolirla. In un’epoca in cui i terroristi dell’Isis condizionano le nostre esistenze, tagliando, oltre alle teste dei loro nemici, anche la nostra cartina geografica (prendete un mappamondo e fermatevi a riflettere un secondo su quali posti in questo periodo evitereste per paure di un attentato dell’Isis e vedrete che non sono pochi), c’è un altro tipo di fondamentalismo (ideologico) che si insinua nelle nostre vite. Il più delle volte non ce ne rendiamo conto, ne siamo inconsapevoli. Altre volte invece ci si presenta davanti con una virulenza inaudita. Prendete i nazivegani per esempio. Sì, proprio quelli. Ma badate bene, qui non si prendono in considerazione coloro che hanno scelto la via dell’ascetismo culinario e che il massimo del fastidio che possono procurare è la confusione dell’amico che se li trova a cena e che rimodella il menu a immagine e somiglianza degli invitati.

No, quelli sono i vegani moderati, quelli che pacatamente ti spiegano le ragioni della loro scelta, che discettano di cibo industriale e che ti saprebbe- ro elencare i macchinari utilizzati per la cottura del pollo e gli elementi chimici usati per alimentare gli animali del pianeta. Scelta legittima e financo condivisibile. Perché scelta privata. Ognuno è libero, in teoria, di impiattarsi quello che più gli pare e piace. Nei limiti della legge, ovviamente. Non stiamo parlando di chi vuole farsi bistecche di panda e cucinare i gatti. Per carità. Qui si parla degli estremisti, quelli che fanno vere e proprie azioni di «guerriglia» contro i carnivori. Sono i paladini della violenza delle idee, disposti a tutto pur di convertire un infedele. Ma in realtà la conversione è un obiettivo che non si prefiggono. Loro puntano alla punizione. Lo ha spiegato perfettamente Valerio Vassallo, il leader di uno di questi movimenti vegani in un’intervista al programma Le Iene che ha fatto il giro del web. «Se vedo una persona che mangia un panino con la mortadella, se riesco ci sputo dentro. Se vedo una signora con una pelliccia, faccio di tutto per danneggiargliela. Se, per salvarsi la vita, mia madre fosse costretta a usare dei farmaci testati sugli animali, la disconoscerei».

Sempre lui, insieme ai suoi compagni di ideologia, bloccò una gara di pesca alla trota sulle rive del fiume Sesia cercando di convertire un padre con queste dolci parole: «Tu stai insegnando a tuo figlio ad uccidere», innescando con lui un acceso alterco e impaurendo il bambino che scoppiò in un pianto dirotto. Colpirne uno per educarne cento. I nazivegani non guardano in faccia niente e nessuno. E riscrivono la storia, a modo loro. Nelle loro menti stanno rivivendo gli anni del nazismo: ciò che avviene negli allevamenti rappresenta - per loro - un nuovo Olocausto e gli animali sui quali si sono testate e si testano le medicine del passato, del presente e del futuro patiscono le stesse pene dell’inferno che patirono gli ebrei.

Ma le fondamenta su cui si poggia questa sorta di religione ultra-ortodossa sono labili come un grissino (vegano) e non trovano alcun appiglio scientifico se non l’ancor più fragile precetto in base al quale è inutile testare i farmaci sugli animali se tanto poi sono gli uomini a doverli assumere. È l’antiscienza per eccellenza. O peggio, il disconoscimento della scienza stessa. A meno che, per salvare gli animali, non si voglia passare direttamente ai test sui bambini.

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