"Se vince il No vince l'Italia. Poi le elezioni"

Berlusconi elenca tutti i rischi in caso di ok alla riforma: "Temo brogli, soprattutto all'estero"

"Se vince il No vince l'Italia. Poi le elezioni"

No. Forte e chiaro. Per il presidente Silvio Berlusconi, impegnato in queste ore nell'ultimo miglio della campagna elettorale per il referendum costituzionale, «No» non è soltanto una parola. È un modo per dare all'Italia un futuro libero dalle manovre di palazzo e da un Parlamento di nominati voluto dal premier Matteo Renzi. Berlusconi nell'ultimo mese ha battuto tutti gli studi televisivi per parlare al maggior numero di cittadini e per spiegare perché questa riforma è lontanissima da quella che dieci anni fa aveva immaginato e a quella che proporrà già da lunedì se dovesse vincere il No.

Presidente Berlusconi, Renzi con la sua malizia ha detto che se vince il No ha vinto Grillo. È vero?

«Se vince il No ha vinto l'Italia. Non è uno slogan: la vittoria del No significa aprire la strada a un cambiamento vero, positivo per gli italiani. Il fatto che anche Grillo sia contrario a questa riforma è un'obiezione che è stata spesso avanzata, in questa campagna elettorale. Non ne capisco il senso. Dovremmo essere favorevoli a una riforma sbagliata soltanto perché non piace neppure a Grillo o a Magistratura democratica? Non sarebbe un atteggiamento serio né rispettoso degli interessi degli italiani. Fermo restando che le ragioni del nostro No e di quello dei grillini sono diverse. Il nostro è un No per aprire la strada a un cambiamento vero, non certo per lasciare le cose come stanno».

Se vince il No non si cambierà mai.

«Proprio il contrario. Se vincesse il Sì, con la pericolosa riforma di Renzi avremmo un uomo solo e un solo partito al comando, per chissà quanto tempo. Poiché la riforma di Renzi non porterebbe né maggiore efficienza, né minori costi, ma soltanto minore democrazia, sarebbe un cambiamento in peggio della situazione attuale, dal quale non potremo uscire per molto tempo».

Se vince il No finiremo nelle mani di nuovi Mario Monti?

«Perché mai? Questo è uno degli argomenti meno credibili fra quelli usati dal premier nella campagna referendaria. Se vince il No per il momento non cambia la maggioranza parlamentare, e quindi Renzi se vuole ha la possibilità di andare avanti. Certo, io sono convinto che dopo la vittoria del No vi sia la necessità di andare a votare al più presto, di ridare la parola agli italiani con una nuova legge elettorale, che io vorrei proporzionale. Credo sia giunto il momento, visto che l'ultimo governo scelto dai cittadini è stato il nostro, nel 2008, e da allora si sono susseguiti ben tre governi, da Monti a Renzi, nati da manovre di Palazzo. Non credo che se ridaremo la parola agli italiani sceglieranno di essere governati da un tecnico alla Monti e neppure da Grillo. L'Italia richiede soluzioni serie, credibili, moderate, senza avventure».

Se vince il No ci sarà un inciucio con Renzi?

«Scusi, direttore, se avessimo avuto quest'idea avremmo mantenuto il Patto del Nazareno. L'abbiamo rotto quando abbiamo capito che Renzi si stava cucendo un abito su misura per sé e per il Pd. Ma è un abito che non va bene agli italiani e va molto stretto alla democrazia. Non soltanto non abbiamo questi progetti, ma al contrario siamo convinti che dopo il fallimento del renzismo, e vista l'inconsistenza dei grillini come alternativa di governo, sia giunto il momento per noi di tornare ad essere i protagonisti, di offrire all'Italia un programma e un governo serio, credibile, con alla base i nostri valori cristiani e le nostre idee liberali e riformatrici. Un programma da affidare a una squadra che unisca l'esperienza alla novità, costituita per gran parte non da professionisti della politica, ma da persone che abbiano dimostrato nella vita professionale, nell'attività culturale o scientifica, nell'impresa o nel lavoro, quello che sono capaci di fare. In una parola, puntiamo a vincere, non certo a fare inciuci».

I cinque rischi se vince il Sì.

«Il rischio maggiore è quello di avere un uomo solo al comando, sgradito a cinque italiani su sei, qualcuno che vuole più potere di ogni altro leader dai tempi di Benito Mussolini. Sa chi l'ha scritto? Renato Brunetta? Matteo Salvini? No, l'ha scritto ieri il compassato Times, il giornale più autorevole del mondo. Rischiamo di trovarci in un sistema nel quale il centrodestra, pur vincendo le elezioni, non potrebbe mai governare. So che sembra incredibile ma è così. La riforma è costruita in modo tale che il controllo di uno dei due rami del Parlamento vada automaticamente al Pd, qualunque sia l'esito delle votazioni. Infatti la riforma, che non ha affatto abolito il Senato, ha tolto ai cittadini il potere di scegliere i senatori, per affidarlo alle regioni. Politici che scelgono altri politici, insomma. E poiché le regioni sono in grande maggioranza, 17 su 20, in mano alla sinistra, ecco che il Senato sarà in ogni caso a maggioranza del Pd, che avrà almeno 60 senatori su 95. Poiché il Senato ha molti poteri, potrà di fatto bloccare qualunque attività di un governo di centrodestra, che pure fosse stato scelto dagli italiani. Se invece, ed ecco la seconda ragione, vincesse Renzi, avrebbe in mano non solo il suo partito ma anche il governo, il Senato e la Camera dei deputati e potrebbe scegliersi il capo dello Stato e gli organi di garanzia, come la Corte costituzionale. Sarebbe il padrone dell'Italia e degli italiani. Per arrivare a questo, con la legge elettorale legata a questa riforma, l'Italicum, potrebbe bastargli ottenere il 30% dei voti validi. Il fatto è che il 30% dei voti corrisponde in realtà al 15% degli italiani visto che ormai e purtroppo metà degli elettori non vota, o vota scheda bianca. Tutto questo è assurdo, intollerabile, inconcepibile, inaccettabile in una democrazia. Ci sono poi degli aspetti meno clamorosi, ma non meno gravi».

«La riforma terzo motivo per votare No - crea una grande confusione di ruoli fra Stato e regioni: da un lato introduce un nuovo centralismo, allontanando così il livello delle decisioni dai cittadini e uccidendo ogni sogno federalista, dall'altro dà alle regioni, attraverso il Senato, un enorme potere anche su materie che con le regioni non hanno nulla a che vedere».

«La quarta ragione è che i poteri dei due rami del Parlamento non sono ben distinti, tanto è vero che con il nuovo ordinamento vi sarebbero ben 10 diversi modelli di procedimento legislativo applicabili. Altro che semplificazione e velocizzazione. Infine, ecco il quinto motivo: i risparmi sono irrilevanti, una vera presa in giro. Si risparmierebbero 50 milioni l'anno, che equivalgono a quanto lo Stato spende ogni mezz'ora, giorno e notte, 365 giorni l'anno. Non soltanto, ma anche questo piccolo risparmio verrebbe cancellato dal sistema elettorale a doppio turno insito nell'Italicum. I costi del turno di ballottaggio, anche votando ogni cinque anni, sarebbero superiori a quanto si è risparmiato nel quinquennio».

«Insomma, come scrive ancora il Times, agli italiani è stato chiesto di votare per una riforma irrilevante o pericolosa».

La prima cosa che farà se vince il No.

«Il primo atto sarà chiedere a tutte le forze politiche di sedersi intorno a un tavolo per scrivere una nuova legge elettorale proporzionale, condivisa da tutti e non lacerante per il Paese. L'obbiettivo è ridare la parola agli italiani, senza avventure, e in modo da far coincidere la maggioranza parlamentare con la maggioranza degli elettori».

Renzi dovrebbe andare avanti anche se sconfitto e se sì, con che mandato?

«Renzi si è impegnato ad andarsene in caso di sconfitta. In certi momenti ha parlato addirittura di abbandonare la politica. Vedremo cosa farà: mantenere le promesse non è proprio la sua specialità. In ogni caso, se lasciasse la politica un posto nel mondo dell'intrattenimento televisivo lo troverebbe senz'altro. In questo sarebbe davvero bravissimo. In ogni caso, Renzi o un altro, non credo che il governo dovrebbe fare molto altro che accompagnare la fase di riscrittura della legge elettorale. Garante di questa fase delicata sarà il presidente Mattarella, al quale spetta il potere di scioglimento delle Camere. Abbiamo piena fiducia nella sua saggezza e nella sua imparzialità».

Teme brogli?

«Sinceramente sì, soprattutto, ma non soltanto, per quanto riguarda il voto degli italiani all'estero. Se ne avessimo notizia concreta, interverremmo con decisione. Non permetteremo che chi imbroglia la passi liscia come è successo già troppe volte. Non si può accettare che gli italiani siano raggirati in una materia decisiva per il loro futuro».

Teme un Sì significativo tra l'elettorato del centrodestra?

«È l'illusione di Renzi, la sua unica speranza di vincere. Io credo che gli elettori di centrodestra sappiano leggere la riforma, e siano consapevoli che Renzi considera questo referendum come l'occasione per quella legittimazione popolare che non ha mai avuto dalle urne. I nostri elettori sanno che se vincesse il Sì il sistema di potere di Renzi si consoliderebbe. Non lo merita, visti i pessimi risultati fin qui ottenuti. È aumentata di molto la povertà, l'economia ristagna, la disoccupazione aumenta, non c'è vera sicurezza per nessuno è l'Italia è irrilevante in Europa e nella politica internazionale».

«E poi gli elettori di centrodestra non credo muoiano dalla voglia di votare come Romano Prodi ed Eugenio Scalfari, che sostengono questa riforma, quasi a simboleggiare che il Sì rappresenta il nuovo e il cambiamento, come sostiene Renzi».

Pensa che i rapporti con l'attuale premier siano irrimediabilmente compromessi?

«Non è questione di rapporti personali. Renzi aveva suscitato molte aspettative positive. Sembrava un innovatore. Invece ha dimostrato di essere l'ultimo prodotto della vecchia politica, un figlio della sinistra democristiana, un professionista della politica dedito, come tutti i suoi colleghi, alla vecchia logica dei giochi di potere».

Legge elettorale: si torna al proporzionale? In ogni caso? Perché e con che scopo?

«Il proporzionale oggi è l'unica legge elettorale adeguata alla realtà italiana. Le leggi elettorali non sono dogmi, non hanno un valore assoluto, sono strumenti per trasformare i voti dei cittadini in seggi al Parlamento. In passato, in una situazione diversa, ero favorevole a un sistema maggioritario. Questo accadeva quando l'Italia era sostanzialmente bipolare, e quindi chi vinceva le elezioni rappresentava il 50%, o poco meno, dei consensi. A quel punto un premio di maggioranza che consolidasse la maggioranza parlamentare era positivo, perché il vincitore delle elezioni rappresentava comunque la maggioranza dei cittadini».

«Ora l'Italia è divisa in tre poli. Questo significa che per vincere basta il 30% dei voti, che come abbiamo visto corrisponde al 15% degli italiani. Trasformare questo in una maggioranza parlamentare diventa una negazione della democrazia, una ragione in più perché i cittadini non si riconoscano nelle istituzioni. Solo un sistema proporzionale può ristabilire un corretto rapporto fra la maggioranza dei votanti e quella degli eletti, e permette quindi di avere un Parlamento e un governo che rappresentino gli italiani».

Per il centrodestra, se vincono i No, si apre una nuova prospettiva? Quale, con che formula?

«La prospettiva di governare il Paese con un programma credibile che abbiamo già concordato per il 95% con gli alleati del centrodestra. Un programma che si basa su tre chiodi fondamentali: meno tasse, meno tasse, meno tasse. Meno tasse sulle famiglie, meno tasse sulle imprese e lavoro, meno tasse sulla casa. E poi naturalmente meno burocrazia, meno Europa, almeno nell'attuale modello di Europa inefficiente e soffocante. Ed anche più sicurezza, più contrasto all'immigrazione clandestina, più giustizia giusta, più ruolo e più prestigio dell'Italia sul piano internazionale. Le formule sono un problema al quale non si può dare una risposta oggi, non sapendo neppure quale sarà la nuova legge elettorale. Posso solo dire che Lega Nord e Fratelli d'Italia credo siano consapevoli che senza un centrodestra unito il loro ruolo diventerebbe marginale e irrilevante».

«Si ridurrebbero in un angolo e non avrebbero mai la possibilità di governare».

Lei sarà in campo?

«Per ora sono qui. Me l'ha imposto il mio senso di responsabilità verso il mio Paese, verso tutti gli italiani che mi hanno sempre votato, verso i miei compagni di tante battaglie per la libertà».

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