Il governo di Giorgia Meloni è sulla rampa di lancio. Un mare di polemiche ma alla fine è avvenuto quello che era giusto (visto l'esito del voto) e previsto (l'alternativa sarebbe stata il suicidio del centro-destra). Un epilogo, quindi, per alcuni versi scontato. Un governo politico a tutto tondo, con la presenza dei cosiddetti «tecnici» ridotta ad un livello fisiologico. E non poteva essere altrimenti visto che dopo più di dieci anni il Paese ha di nuovo un esecutivo legittimato direttamente dalle urne e non da alleanze frutto del gioco parlamentare.
Ma la vera novità del nuovo governo è la presenza per la prima volta di un Premier donna. Un inedito introdotto dalla destra e questo la dice lunga su quanto sia stucchevole una certa retorica femminista di sinistra. Un esecutivo con un'ispirazione fortemente identitaria, in linea con la filosofia adottata nell'individuazione dei presidenti delle due Camere, che ritrovi addirittura nella nuova denominazione di alcuni ministeri (Agricoltura e sovranità alimentare, Imprese e made in Italy) e nell'inserimento nella lista dei ministri di due capogruppo parlamentari appena nominati (quelli di Fratelli d'Italia, Lollobrigida e Ciriani). In passato non era mai successo.
I nomi dei ministri rappresentano i partiti che compongono la maggioranza nella logica dei governi di coalizione anche se è rimasto qualche squilibrio. Forza Italia potrebbe lagnarsi, ma queste sono state le scelte della nuova Premier e sicuramente le «riserve» espresse da alcuni partiti non potevano sfociare in clamorose rotture: sarebbero state incomprensibili. Come assurde sono state le riserve sulla collocazione internazionale della nuova maggioranza. Il nuovo governo sulla crisi Ucraina e sul rapporto con l'Alleanza Atlantica si muove nel solco della linea tracciata dal precedente, una linea che Mario Draghi non avrebbe potuto interpretare se non avesse avuto l'appoggio di Forza Italia e della Lega. E l'apporto di fratelli d'Italia ha addirittura aumentato il tasso di atlantismo della nuova maggioranza. Poi naturalmente tutti, nessuno escluso, sperano che si arrivi ad una tregua, ad una pace. Ma sono opinioni, cosa ben diversa dalle decisioni e nessuno può essere criminalizzato per questo. A meno che non si voglia reintrodurre il «reato d'opinione» ma sarebbe davvero paradossale: l'Europa è corsa in aiuto all'Ucraina per salvaguardare la democrazia, se le opinioni venissero criminalizzate anche da noi significherebbe che Putin ha già vinto. Senza contare che lo Zar è aiutato più dalle difficoltà che si incontrano nell'Unione a trovare una politica solidale sull'energia che non da altro: perché senza una risposta unitaria, che aiuti i Paesi che pagano più sulla loro pelle le conseguenze della guerra, si disorienta l'opinione pubblica, si mina la convinzione che siamo nel giusto a schierarci con Kiev. In Italia, come in Francia, come in Germania.
Già crisi energetica, bollette, inflazione, recessione: il nuovo governo parte ma ha di fronte a sé sfide che farebbero tremare i polsi a chiunque. Ecco perché sarebbe il caso di privilegiare gli elementi di coesione e non di polemica. Dentro la maggioranza e fuori.
È un'esigenza che Giorgia Meloni ha avvertito già la sera stessa del voto. Ed è un'intuizione sensata perché nei prossimi mesi, al netto dell'enfasi delle parole ma nella consapevolezza della gravità della crisi, non è in ballo il futuro del centro-destra ma quello del Paese.
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