«Ho imparato che bisogna stare molto attenti al telefono», così Ilaria Capua ha risposto al cronista di Repubblica che le domandava quale lezione avesse tratto dalla storia che le ha sconvolto la vita. State attenti al telefono, lo avevamo intuito. Nella vicenda che ha portato la virologa italiana alla scelta estrema di dimissioni dal Parlamento e al trasferimento oltreoceano, giocano un ruolo non secondario le conversazioni captate e interpretate chissà come. A ciò si aggiunge il comportamento di pm affezionati alle proprie tesi, intestarditi nella strenua difesa di un teorema anche quando non sta in piedi. E poi ci sono i giornalisti, ci siamo noi, che, alla ricerca permanente dello scoop, vero o presunto che sia, siamo disposti a trasformare un'ipotesi - l'accusa - in una condanna preventiva.
Che importa, nel peggiore dei casi pagherà l'editore. Vuoi mettere l'effetto choc della copertina con cui L'Espresso, due anni fa, diede notizia della mega inchiesta capitolina, 41 indagati, dal titolo Trafficanti di virus? L'autore, Lirio Abbate, ottenne per primo le carte della procura di Roma «sul traffico internazionale di virus, scambiati da ricercatori senza scrupoli» e «pronti ad accumulare soldi e fama grazie alla paura delle epidemie». Una ricostruzione fantasy, la trama di un thriller che per i malcapitati, inchiodati nel ruolo di cinici untori, si chiude con un non luogo a procedere. Così ha deciso il tribunale di Verona, eppure Abbate, ancora ieri, twitta l'ennesima intercettazione estrapolata sulla base di un'ipotesi bocciata dalla magistratura giudicante. «Traffico dei virus, Capua prosciolta. Ma le intercettazioni svelano il grande business», la replica del giornalista che non chiede scusa, rilancia. C'è sempre un «ma», pure quando sei assolto. Il procuratore aggiunto di Roma che istruisce l'inchiesta si chiama Giancarlo Capaldo, chi si ricorda il processo Fastweb? L'odissea di Silvio Scaglia (un anno tra carcere e domiciliari) e il sacrificio di Stefano Parisi, anch'egli prosciolto, dopo essere stato costretto a dimettersi da amministratore delegato per evitare il commissariamento dell'azienda. Capaldo rappresentava la pubblica accusa. Dalla voce di Capua si apprende che non è mai stata sentita da un magistrato, né da Capaldo né dai suoi colleghi, in altre parole non ha mai avuto modo di offrire la propria versione dei fatti. Nel deserto delle scuse si distingue la deputata grillina Silvia Chimienti che, all'indomani della pubblicazione dell'inchiesta, chiese le immediate dimissioni della scienziata a capo della «cupola dei vaccini».
Appresa la notizia del proscioglimento, Chimienti le ha telefonato. Intanto nel connubio velenoso tra potere inquisitorio e spregiudicatezza mediatica l'immagine dell'Italia esce irrimediabilmente sfregiata. La virologa di fama mondiale è espulsa dal circo mediatico-giudiziario del suo Paese, e poi accolta, tra medaglie e onorificenze, dalla comunità scientifica americana.
Ora Capua vive a Orlando dove dirige un centro d'eccellenza, il One health della University of Florida. «Questa storia ha sconvolto la mia vita», sono le parole della protagonista che non cela il desiderio di potere tornare un giorno nel suo Paese. Non adesso, però.
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