Attaccati ai morti per restare vivi. I corpi dei compagni di viaggio trasformati in salvagente. Le ultime forze spese per lanciare un urlo nella notte, prima che l'acqua ti invada i polmoni e ti porti a fondo. Il racconto dei 28 sopravvissuti all'ecatombe al largo della Libia, che questa sera sono arrivati al porto di Catania a bordo della nave Gregoretti, è un concentrato di orrore, disperazione, tristezza e rabbia.
"Ci siamo aggrappati ai morti, abbiamo sentito il rumore dei motori e abbiamo urlato con tutte le forze che ci rimanevano", hanno raccontato gli ultimi due naufraghi salvati. Poi i soccorritori hanno iniziato a tirare su soltanto cadaveri. E una sorta di diario di bordo: un quaderno con nomi e cifre accanto che ora gli investigatori esamineranno per cercare di risalire ai responsabili di questo omicidio di massa. "Siamo arrivati nella zona del naufragio attorno alle due di notte - ha spiegato il comandante di Nave Gregoretti Gianluigi Bove - del barcone non c'era più alcuna traccia, tranne alcuni detriti e chiazze di nafta. Siamo riusciti a recuperare due naufraghi, mentre altri 26 erano già a bordo della nave portoghese". Il King Jacob era arrivato un paio d'ore prima. Quando dalla nave della Guardia Costiera hanno calato i gommoni non si vedeva a 10 metri di distanza. "Ho visto la gente in mare che gridava - racconta ancora Bove - abbiamo fatto di tutto per salvarli, ma non ce l'abbiamo fatta. E questa tristezza nessuno me la leverà mai".
"Era buio pesto - continua - siamo andati in mare per recuperare i cadaveri, non pensavamo di trovare ancora persone vive. Ed invece abbiamo sentito delle urla. Quando ci siamo avvicinati abbiamo recuperato due uomini che si erano aggrappati ai morti per cercare di rimanere a galla. Urlavano con le ultime forze che gli erano rimaste. Erano allo stremo, siamo riusciti a issarli a bordo, ma non avrebbero resistito per molto". Tutti gli altri sono andati a fondo.
Le ventiquattro salme recuperate sono state lasciate a Malta. Un numero indefinito di cadaveri, invece, è ancora sul fondo del Mediterraneo. I racconti dei superstiti non consentono di avere certezze. Nessuno è davvero in grado di dire quanti disperati sono stati stipati alla partenza. "Il peschereccio aveva tre livelli - ha raccontato il giovane sopravvissuto del Bangladesh che ieri è stato trasferito all'ospedale di Catania - quello più basso era la stiva e centinaia di persone sono state costrette ad entrare li dentro. Poi i trafficanti hanno chiuso i boccaporti, per evitare che uscissero durante la navigazione". Il secondo livello era invece quello della piccola cabina che c'è in coperta, all'altezza della murata del barcone. "Anche qui erano stipate centinaia di persone". Infine quelli sul ponte, i più fortunati: i sopravvissuti si trovavano tutti qui. "Si capisce chiaramente - dice il procuratore di Catania Giovanni Salvi - che la maggior parte di loro non avrebbe potuto salvarsi".
Ce l'hanno fatta, invece, i due
scafisti, arrivati insieme ai disperati al porto di Catania, dove sono stati fermati. "Si tratta del comandante, tunisino, e di un suo assistente, siriano", ha detto il ministro dell’interno Angelino Alfano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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