Inflazione sociale

L'inflazione non è mai stata solo un indice economico, statistico. È il racconto della realtà

Inflazione sociale

L'inflazione non è mai stata solo un indice economico, statistico. È il racconto della realtà. Ti dice quanto stai diventando più povero o meno ricco. È, come si dice spesso, una tassa invisibile, che giorno dopo giorno toglie potere di acquisto. I soldi valgono di meno, lo stipendio finisce prima. Quando ha a che fare con i costi fissi, come l'energia, non lascia alternative. Le possibilità di scelta si avvicinano allo zero. Se tutto questo si associa poi alla recessione, ti strappa a brandelli la speranza, perché non solo tutto costa di più, ma troppa gente finisce per perdere il lavoro.

È l'orizzonte, non inatteso, che si presenta davanti all'Europa. A certificarlo è Christine Lagarde, presidente della Bce, con parole che lasciano pochi spiragli: «Resterà alta per un lungo periodo». La Banca centrale ha scelto di alzare il tasso di sconto, il costo del denaro, di 0,75 punti. Non si fermerà qui. È la mossa per frenare il caro vita, solo che ha un costo pesante: la recessione, appunto. L'alternativa era un accordo transnazionale per un tetto al prezzo del gas. La Germania in particolare non ha voluto. Le conseguenze di questa storia rischiano di essere così profonde da rivoluzionare l'intera struttura europea.

La stagflazione, combinazione sciagurata di inflazione e recessione, è il terreno sul quale in genere avvengono le svolte della storia. È quella che un tempo, quasi cento anni fa, fu battezzata grande depressione. È la miscela più corrosiva per libertà e democrazia e colpisce lì dove più forti sono le fragilità. L'Italia non è messa bene, perché porta sulle spalle da almeno mezzo secolo il fardello del debito pubblico. È una sfida che tocca a Giorgia Meloni e serve coraggio e lucidità.

Quelli che vedono nel suo governo i rischi per la democrazia stanno guardando dalla parte sbagliata. Non è lei il punto debole del sistema. Non è lei che soffia sul fuoco. A lei tocca però l'impresa di togliere il combustibile: non far affogare l'Italia nella paura, nella povertà, nella disillusione, nella rabbia. Lo fa controvento e con l'avversione di chi fa opinione, di chi influenza le parole d'ordine, i maestri del pensiero. Non le perdoneranno nulla. Il suo destino dipende dalla lotta alla grande depressione. È su questo che si gioca tutto, compreso il futuro dell'Italia. Tutto il resto è marginale. L'errore sarebbe aprire fronti inutili e logoranti su questioni ideologiche e di bandiera. Non è tempo di processi sulla tragedia. Non è tempo di pensare al sesso degli angeli. Questi anni servono per sopravvivere. La paura, e qui ne scorre tanta, è una bestia feroce. C'è oltretutto una voglia metafisica di sfogare il rancore, con un clima che comincia a odorare di piombo. È una responsabilità anche per l'opposizione.

Se a guidarla sarà l'avvocato a Cinque Stelle, si nutrirà di populismo. È un altro sentimento che corrode la liberal democrazia. Molto dipenderà dalla coscienza del Pd, perché se va male non cade solo il governo. Cade tutto.

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