Ingranaggio inceppato

Il macchinoso tentativo di decidere le sanzioni sul petrolio russo è la prova che l'Unione ha fondamenta fragili

Ingranaggio inceppato

Il macchinoso tentativo di decidere le sanzioni sul petrolio russo che ancora non ha avuto esito per il «no» dell'Ungheria, della Bulgaria e di altri tre paesi, è la prova che l'Unione ha fondamenta fragili: basta un piccolo granello di sabbia - in questo caso Victor Orban - e l'ingranaggio si inceppa. Sono più di due settimane che va avanti un'estenuante trattativa tra i 27 membri senza risultati. E questa debolezza che si è manifestata su una vicenda drammatica come la crisi ucraina, potrebbe ripetersi anche su altre emergenze. È possibile andare avanti in questo modo? No, perché è la dimostrazione che la Ue è un gigante con i piedi di argilla. È un'Unione scollegata, che incontra una difficoltà estrema nel maturare decisioni condivise. E questo «baco» la rende inerme, impotente, incapace anche di fronte ad un conflitto che infuria ai suoi confini.

Non ci voleva l'aggressione della Russia all'Ucraina per scoprirlo, ma la crisi ha messo ancora più in evidenza quanto sia gracile il meccanismo e, soprattutto, ha reso evidente come l'allargamento a 27 paesi sia stato fatto a scapito di un comune sentire e di una solidarietà di fondo. Colpisce che Paesi come l'Ungheria e la Bulgaria, che pure hanno provato sulla loro pelle il regime sovietico, non si impegnino ora più di tanto per Kiev. Mentre l'Ucraina si batte al di là di ogni aspettativa insieme all'Occidente. Per cui sorge il dubbio che nell'Unione ci siano Paesi che non dovrebbero esserci, e viceversa. E la ragione è semplice: per molti dei nuovi membri arrivati dall'est l'adesione non è stata presa sulla base di una scelta politica - tantomeno ideale - ma di calcoli utilitaristici e di comodo. Motivo per cui finché si parla di contributi e aiuti economici da Bruxelles tutto va bene, quando gli impegni investono, invece, altre sfere, cioè una posizione comune su una crisi internazionale, il legame si allenta. Ma la responsabilità è anche di chi ha promosso un allargamento più finalizzato a far numero che non a porre le premesse per una vera e propria confederazione di Stati, per un soggetto europeo. Sono difetti genetici che paghi in una fase come l'attuale in cui hai l'ambizione - e l'esigenza - di dare all'Unione una politica estera e un esercito comune.

È un problema che non solo va posto, ma deve essere assolutamente risolto. Con la politica dei «veti» l'Unione non ha prospettiva. Rischia di mancare ogni appuntamento, immaginiamoci quello di conquistare un posto nuovo nel nuovo ordine mondiale di cui discetta. E la soluzione non può avvenire in tempi lunghi: i paesi che sono disposti ad accettare decisioni prese a maggioranza, quindi più convinti del processo unitario, vadano avanti; per gli altri si configuri un rapporto diverso con l'Unione.

Anche perché le attuali regole possono permettere a qualche superpotenza straniera di avere un rapporto privilegiato con un paese membro e di sfruttare questa possibile «quinta colonna» per bloccare decisioni o iniziative dell'Unione. Diceva Giulio Andreotti che «la guerra fredda» la conosceva bene: a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

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