Buongiorno Deborah e buon anno! Sei riuscita a goderti la tua amata montagna durante queste feste?
«Sono appena rientrata da un giro con le pelli. Una meraviglia, c'è tantissima neve. Quest'inverno non ho ancora sciato in pista, ma ho fatto tante belle escursioni di sci alpinismo. Qui nelle Dolomiti e anche nella mia Santa Caterina, con mamma Adele e Jacopo, mio fratello guida alpina. Mi piace tanto andare in su camminando e poi scendere in neve fresca».
Cos'è per te la montagna?
«Per me la montagna è casa, è il luogo dove sono nata e cresciuta, quello in cui ho passato e continuo a passare giornate bellissime che mi fanno sentire bene fisicamente. La montagna mi dà un senso di libertà e di sicurezza. È il mio ambiente naturale. Amo camminare, arrampicare, fare anche escursioni impegnative. L'importante è stare all'aperto, lontano dai posti più frequentati e dai percorsi più battuti».
Sei una specie di orso, insomma
«Non sono social, non ho un profilo facebook o instagram, non mi interessa fare sapere cosa faccio, ma se vuoi ti racconto la mia salita in vetta al Cervino lo scorso mese di settembre. Un'esperienza bellissima, in cima mi sono sentita veramente in alto e il panorama era qualcosa di incredibile».
Il 2020 è stato un anno difficile. Solo limitandoci allo sport ti elenco: annullamento Olimpiade, impianti di sci, palestre e piscine quasi sempre chiusi, eventi senza pubblico, difficoltà a praticare, divieti Tu come lo hai vissuto e cosa auguri al 2021?
«L'ho vissuto come tutti. All'inizio pensi sia una cosa assurda, non ci credi, poi invece capisci che il problema è reale e allora ti adegui, stai alle regole. Io mi sento fortunata, perché vivendo tanto in montagna o in ambienti dove posso uscire, soprattutto in primavera non ho sofferto come chi ha dovuto passare le giornate chiuso in casa. La mancanza di libertà è una sofferenza. Spero che il 2021 porti un miglioramento anche minimo, spero che tutto finisca e non si ripeta mai più, un anno vissuto così basta e avanza!».
Come vedi la situazione attuale?
«Come qualcosa di epocale. Vedo tutto come se fosse sospeso, non vero, surreale. Si aspetta solo che finisca per ricominciare a vivere come prima. E quando lo faremo mi auguro che tutti riescano ad apprezzare di più quel che si può fare in tempi normali. Mi auguro che si riparta, la voglia c'è, ma questo momento difficile deve dare un insegnamento, deve fare crescere».
Lo sport agonistico da giugno non si è più fermato.
«Potrebbe sembrare senza senso, ma non lo è affatto. Gli atleti non possono smettere di allenarsi e se non fanno le gare cosa si allenano a fare? Peccato solo che queste siano senza pubblico, senza il consueto contorno, con le dovute limitazioni, insomma, ma già il fatto di non essersi fermati è importante».
Come si vive il rinvio di un grande evento come l'Olimpiade?
«Parlo per me e di come vissi, da atleta, il rinvio di un anno, dal 1995 al 1996, del Mondiale di Sierra Nevada: strano, ma nulla di più, la stagione di coppa del mondo era stata in ogni caso regolare. Per l'Olimpiade, che c'è ogni quattro anni, credo sia molto complicato riprogrammarsi, specie per gli atleti degli sport che puntano soprattutto su quell'evento».
Nell'anno dei Mondiali in casa, tu che ai grandi eventi non hai mai fallito e che a Sestriere nel 1997 centrasti la doppietta gigante-slalom, che consigli daresti alle nostre tre punte Bassino, Brignone e Goggia?
«Nessun consiglio, credo che sappiano bene come gestire gli eventi importanti e fare parte di una squadra vincente come la loro è un vantaggio. Nello sci se vai forte durante la stagione poi vai bene anche ai Mondiali, io la vedo così anche se nelle gare a medaglia bisogna sempre prevedere exploit di outsider. Spiacerà solo vederle gareggiare in un contesto non degno di un Mondiale in casa, senza pubblico, senza eventi collaterali, senza feste. Ma sono brave e possono vincere medaglie. Medaglie che varranno molto, Covid o non Covid».
Qual era il tuo segreto di riuscita ai grandi eventi?
«Mi dava piacere la maggiore attenzione di chi ci stava attorno, la pressione che si percepiva soprattutto se si correva in Italia, come a Sestriere nel 1997. Io approfittavo e traevo vantaggio da questa situazione, capendo che per le rivali era invece uno stress che peggiorava le loro prestazioni».
L'Italia dello sci ha una grande squadra femminile. Eppure si parla ancora e sempre tantissimo del mito Deborah Compagnoni. Che effetto ti fa?
«Mi fa piacere, ma penso che il tempo passa e si debba guardare avanti. Se sono rimasta nel cuore e nella mente della gente è perché ho vinto l'Olimpiade, tre volte di fila! Quei titoli mi hanno dato molta notorietà, un oro olimpico viene percepito come importante anche dalla gente comune, quella che magari non segue mai lo sport. Il fatto che allora gareggiasse Alberto Tomba mi ha poi aiutato nella riconoscibilità, lui in quegli anni ha davvero reso lo sci uno sport popolare in tutt'Italia. Ma quando capita che qualcuno mi dica senza di te lo sci non è più come prima rispondo che sbaglia, perché quella attuale è la squadra più forte che abbiamo mai avuto. Infatti negli ultimi anni le cose sono cambiate. Grazie alla Brignone e alla sua fantastica e meritatissima vittoria nella Coppa del Mondo generale, e prima ancora all'oro olimpico della Goggia in discesa».
C'è qualche atleta attuale in cui rivedi Deborah?
«Non mi piace paragonarmi con le altre, ma in Federica vedo una sciata naturale e una gran sensibilità nei piedi che avevo anch'io. In lei vedo poi una ragazza semplice e riservata che come me ama la montagna. Inoltre è molto equilibrata e anche quando vince non si esalta troppo, un po' come facevo io».
Ci racconti il tuo impegno nel sociale?
«Da sempre mi dà soddisfazione aiutare gli altri e dopo la morte per leucemia fulminante di mia cugina Barbara ho fatto qualcosa di concreto per raccogliere fondi a favore della ricerca per questa malattia. Per la prima volta nel 2020 è saltato l'appuntamento con Sciare per la vita, ma in estate siamo riusciti a organizzare Camminare per la vita, a Treviso. Settecento persone gestite con la massima attenzione, una manifestazione contenuta, una giornata semplice e diversa. Lo spirito è questo: scii se hai voglia, cammini se hai voglia, zero stress in una bella atmosfera di solidarietà. Dopo questi eventi, dopo aver visto la gente contenta, torno a casa in pace: sento di avere fatto una cosa bella per gli altri. Chissà se ce la faremo quest'anno, la data è fissata: 18 aprile a Santa Caterina».
Ripensando alla tua carriera, hai rimpianti?
«Sì, quello di essermi distrutta il ginocchio destro cadendo su un salto in discesa quando avevo 17 anni. Operazione sbagliata, casini vari, ripresa durissima e conseguenze a lungo termine. Tornare indietro non si può, ma se lo facessi starei più attenta.
Allora non mi rendevo conto dei pericoli, ero troppo istintiva e se è vero che l'istinto sugli sci mi ha aiutata a diventare quella che sono, è anche vero che senza quella caduta la mia carriera sarebbe stata diversa e avrei potuto divertirmi molto di più anche in discesa libera. Quel ginocchio fra l'altro crea problemi ancora adesso, ma dal Cervino sono scesa a piedi, fino al centro del paese».
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