Le toghe spalancano le porte Permessi per il rischio Covid

Farà sicuramente discutere la decisione del tribunale di Napoli in merito al ricorso presentato da un cittadino pakistano

Le toghe spalancano le porte Permessi per il rischio Covid

Con il Paese ancora in piena emergenza Coronavirus, una situazione resa in queste settimane ancora più insidiosa a causa del netto incremento dei casi di clandestini positivi agli esami del tampone faringeo, arriva una sentenza da parte del tribunale di Napoli che potrebbe creare un precedente tale da impedire il rimpatrio degli irregolari anche per questioni di carattere sanitario.

Decisione che certamente farà discutere a lungo, anche perchè il continuo afflusso di clandestini che sbarcano numerosi sulle coste italiane sta continuando a produrre un preoccupante sovraffollamento negli hotspot più interessati (oramai la situazione di quello di contrada Imbriacola a Lampedusa è ben nota) e casi simili a quello trattato dal tribunale di Napoli continueranno a moltiplicarsi. La soluzione delle navi quarantena, che ha comportato un pesante dispendio per le casse del Paese, reso ancor più gravoso dalla già durissima crisi economica provocata dal Coronavirus e dal conseguente lockdown, rimarrà un fuoco di paglia se il numero degli sbarchi dovesse proseguire col pesante ritmo registrato nel mese di luglio.

Ciò nonostante proprio l'emergenza Covid diventerà un valido motivo per riconoscere il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie anche ai clandestini. Tutto ha origine da una decisione del tribunale di Napoli, per la precisione della Sezione incaricata di pronunciarsi nel campo dell'immigrazione, datata 25 giugno. Protagonista un cittadino pakistano, che si era appellato per opporsi ad un rientro in patria paventando ragioni di sicurezza personale. Al diniego della Commissione territoriale aveva fatto seguito anche quello dei giudici, i quali avevano ritenuto il racconto di dubbia credibilità. Tuttavia a cambiare le carte in tavola erano state invece la motivazioni connesse al rischio epidemia e quelle della possibilità concreta di non ricevere cure mediche adeguate in Pakistan.

Attingendo proprio dai dati ufficiali del paese dello straniero (in un bollettino governativo del 18 maggio si parlava di 42712 contagiati, 29300 casi attivi, 11922 cittadini ricoverati e 903 decessi) i giudici avevano ritenuto grave il livello di pandemia: a ciò si aggiunga che la regione del Punjab, da cui proveniva l'imputato, registrava 15346 casi. Non solo questo ha spinto, tuttavia, il tribunale a pronunciarsi in favore del pakistano. I giudici, infatti, hanno valutato in modo negativo il sistema sanitario del Pakistan: a causa delle privatizzazioni "i servizi sanitari per i poveri sono diventati scarsi", hanno detto, come riferito da "Il sole 24 ore".

Rispedire in patria l'uomo, che tra l'altro da tempo si trovava nel nostro Paese, significava

metterne a rischio la salute, diritto che per i giudici deve sempre prevalere: ecco perchè il riconoscimento della protezione umanitaria, vista l'"estrema vulnerabilità" del soggetto è risultato il più adatto.

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