Mentre gli ebrei francesi abbandonano la Francia, ritenendolo paese pericolosamente antisemita e troppo garantista nei confronti dell'estremismo islamico, sulla nostra scena piomba un film che dice la verità su un caso di sequestro e omicidio a sfondo antisemita, a un passo da casa nostra, nella civilissima Parigi. Si tratta di 24 jours, la vérité sur l'affaire Ilan Halimi , film drammatico di Alexandre Arcady (domani su Raidue in prima serata, intitolata appunto Je suis Ilan , cui segue una puntata speciale di Virus , con ospiti come il filosofo Bernard-Henry Lévy e l'attore Vincent Cassel), regista che ha sempre affrontato il tema del conflitto tra popoli e che ora mette in chiaro la storia di Ilan Halimi, giovane ebreo barbaramente assassinato in Francia. Una vicenda sottaciuta, come altre simili che di recente hanno avuto, per vittime designate, cittadini francesi d'origine ebrea. Sequestrati, torturati e uccisi a scopo estorsivo «perché gli ebrei sono ricchi e si aiutano tra loro», afferma nel film Youssouf Fofana (Tony Harrisson), capo della «banda dei barbari», un gruppo di integralisti islamici con base nella banlieue parigina e diramazioni in Costa d'Avorio.
Nonostante la portata degli avvenimenti, tanto più tristi quanto più si affastellano gli attentati dei terroristi islamici, nella terra dell'illuminismo non hanno voluto saperne, di questo film. Anche se, per la prima volta, la polizia giudiziaria ha aperto alla troupe di Arcady il mitico 36 di Quai des Orfévres e sebbene l'Eliseo abbia organizzato una proiezione alla presenza di Hollande, 24 jours in Francia è stato ostacolato. «Né la tv di stato, né Canal Plus, né i grandi media hanno voluto mettere sul tappeto quest' affaire », considera il regista, ispiratosi al libro scritto dalla madre di Ilan, Ruth Halimi, con Émilie Frèche. E ieri, alla proiezione per la stampa, stringeva il cuore vedere la signora Halimi, donna minuta ma determinata, che con coraggio porta in giro la storia del figlio, perché sia di monito. «È incredibile che tutto questo possa accadere oggi, a Parigi», dice nel film la madre di Ilan (l'intensa Zabou Breitman), lesta a intuire come quel rapimento, avvenuto il 20 gennaio 2006, non sia un qualsiasi sequestro, ma un crimine antisemita. Invano la donna cerca di far capire agli inquirenti, presentati stolidi, ma volenterosi, che l'identità ebraica è il movente. Niente da fare: ormai Halimi, che gestiva un negozio di telefonia a Boulevard Voltaire, è caduto nella trappola tesa da un'avvenente ragazza mediorientale, che lo porta in bocca ai sequestratori. Una delle tante adescatrici di notai e medici ebrei, più o meno facoltosi, al servizio degli integralisti islamici nella Ville Lumière del Duemila.
«Oggi, quando si parla di Ilan Halimi, in pochi ricordano chi è. Ma se dite “banda dei barbari”, tutti sanno di che si tratta. È paradossale pensare che in Francia i criminali siano più noti delle vittime», riflette Arcady. E in effetti, quando i poliziotti, per pura distrazione, si lasciano sfuggire il capo della gang e, poi, a ragazzo morto, arrestano i 19 colpevoli (su 29), considerando: «Roba da non crederci! Ci siamo fatti fregare da quattro pezzenti!», la mente corre ai fatti di Charlie Hebdo (ma non solo).
Ilan, che in ebraico significa «albero» - nel XII Arrondissement parigino c'è un parco comunale, intitolato a lui - verrà ritrovato agonizzante il 13 febbraio 2006 lungo la linea ferroviaria di Sainte-Geneviève-des-Bois: l'80% del corpo ustionato, ferito e digiuno da tre settimane (perché non sporcasse: aveva lo stomaco completamente vuoto), morirà in ospedale. «Voglio che la morte di Ilan serva da campanello d'allarme», dice mamma Ruth, che ha trasformato il suo dolore in concreta reazione alla barbarie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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