"Laboratori amplificano il virus". Solo così ora trovano i positivi

Il retroscena sugli esami dei tamponi per il coronavirus: "Nel rinofaringe è presente una carica virale bassa". E il Veneto prova un nuovo test rapido

"Laboratori amplificano il virus". Solo così ora trovano i positivi

Tra i primi a dirlo fu il professor Alberto Zangrillo: il coronavirus è “clinicamente morto”. Poi lo ha ammesso anche il presidente dell’Iss Franco Locatelli, affermando che “la carica virale ora è più bassa”. Un tema, quello della potenza virale del Covid-19, su cui si è molto dibattuto, ma che i laboratori dove vengono processati i tamponi conoscono molto bene. Tanto che se una volta per "trovare" Sars-CoV-2 erano necessari pochi passaggi, oggi c’è bisogno di amplificare enormemente il genoma virale prima di riuscire a scovarlo.

A spiegarlo è Roberto Rigoli, primario di Microbiologia all'Ospedale di Treviso e vicepresidente nazionale dei microbiologi. "In laboratorio - dice in una intervista al Corriere - si fa una amplificazione del genoma virale perché possa essere rilevato dagli strumenti". Una procedura seguita anche in passato, ma se "nei pazienti di marzo e aprile bastavano pochissimi cicli, ognuno dei quali raddoppia la quantità di virus, per arrivare a milioni di copie di Rna", nei positivi attuali invece servono “molti interventi di amplificazione". "Questo significa - spiega Rigoli - che nel rinofaringe è presente una carica virale bassa. Potrebbe trattarsi di residui della pregressa infezione, ormai innocui".

Anche per questo il Veneto si è gettato a capofitto sul nuovo test rapido prodotto in Corea del Sud. Si tratta di uno strumento innovativo, che in meno di 10 minuti fornisce una risposta sull’eventuale positività al coronavirus. È diverso dai test sierologici, visto che non rileva gli anticorpi ma la attuale presenza del virus. Tuttavia si discosta anche dai classici tamponi naso-faringei: "Il grado di sensibilità è meno elevato rispetto agli esami di laboratorio - spiega Rigoli - ma questo può essere un vantaggio: vengono identificati solo i positivi reali, cioè con una carica virale abbastanza elevata: soggetti che possono ammalarsi e trasmettere l'infezione".

Il Veneto si è fatto spedire alcuni dispositivi in prova dalla ditta coreana. L’obiettivo è quello di trovare “la soluzione per un problema nuovo: le manifestazioni del virus si sono spostate dagli ospedali al territorio”. Ora c’è bisogno di intercettare rapidamente i nuovi focolai, soprattutto quelli “di importazione da altri Paesi", per isolarli nel minor tempo possibile. Il tampone richiede troppo tempo prima di avere una risposta, da qui l’idea di provare il metodo coreano. “Questo test va a prendere l'ipotetico virus nel retrofaringe, lo stempera in un liquido e lo distribuisce in una saponetta - dice il primario -. C'è un punto in cui sono presenti degli anticorpi specifici contro Covid-19: se esiste il virus, si attacca agli anticorpi e si accende una linea rossa. I casi positivi vengono confermati con esami di laboratorio". I primi dati sono confortanti: su circa un migliaiao di campioni analizzati con la controprova molecolare, “abbiamo avuto solo un falso positivo e nessun falso negativo. Per arrivare a una definizione di efficacia bisogna testare almeno cento positivi”.

Intanto sul mercato è possibile si affacceranno nuovi prototipi simili a quello coreano, facendo così abbassare ulteriormente il costo. Un risparmio, a dire il vero, già ci sarebbe: il nuovo test costa 12 euro contro i 18 del tampone. Quando bisogna farne migliaia, pochi euro fanno la differenza.

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