Dicevano che aveva due laghi al posto degli occhi. Quando gli occhi sono così, è difficile perfino descriverne il colore: cambiano col tempo, con l'umore, perfino con ciò in cui si specchiano. Certi giorni più verdi di Greenpeace, altri giorni ammarano nell'acqua e allora diventano irrimediabilmente azzurri. Isa Stoppi era i suoi occhi, prima di qualunque altra cosa. Ma era anche italiana, cosmopolita, bionda e ingiustamente bella. Dopo una vita tra moda, jet set, New York, Milano e Ibiza, dopo un matrimonio importante (con Gian Germano Giuliani, ex patron dell'omonima azienda farmaceutica) e dopo essere diventata entusiasticamente madre e nonna, se n'è andata. La malattia, la lotta eroica e poi la fine. Ma gli occhi sono rimasti gli stessi anche allora. Da riconoscerli tra mille. Se n'è andata proprio nel momento in cui a contare sono solo gli occhi. Sovrani di facce coperte, imbavagliate, mutilate da mascherine. Il burqa chirurgico dell'Occidente. Che toglie pezzi e proporzioni, nasconde le labbra, copre i nasi, taglia gli zigomi. E lascia gli occhi come unico punto di pressione e di espressione. Se la sarebbero cavata bene Paul Newman e Liz Taylor in questa tragica era delle mascherine perenni, o anche Omar Sharif e Virna Lisi. E se la caveranno bene Eva Green con quelle glaciali armi improprie e Madeleine Stowe con i suoi occhi di velluto nero. Ci sono occhi che ti fanno sentire eticamente compromesso, occhi a cui si appende tutta una faccia. Sophia Loren, Angelina Jolie, Olivia Wilde, Milla Jovovich... O la diva di «Twilight», Kristen Stewart o Miriam Leone. E quando sono incastonati sui maschi? Matt Bomer, Michael Fassbender, Patrick Dempsey e Jesse Williams e Adriano Giannini...
Certi occhi sono un lusso, un debito col destino. Con certi occhi impieghi un sacco di tempo a dimostrare la tua età, e potresti anche tranciarti i capelli con le forbici da giardino. Iridi e pagliuzze nelle quali passa di tutto: dall'amore incondizionato al sarcasmo amaro, alla tristezza mercuriale.
Con gli occhi reciti, innamori, disarmi e uccidi. Ma gli occhi bisogna nutrirli da dentro. Una bella bocca vive di vita propria, non le si chiede anima, guizzo, intelletto, compassione. Se ne sta lì imbronciata o allegra, morbidamente adagiata. Evoca affondi e morbidezza suo malgrado. Giace e attrae, si arriccia, si distende e ammicca ma non ci svela.
Dietro gli occhi dev'esserci sempre qualcuno. Non basta siano grandi, chiari, allungati come quelli di un gatto. Bisogna abitarli, gli occhi. Ci sono un sacco di inutili sguardi azzurri in giro. Servono solo a far pensare che chi li porta a spasso sia caduto in piscina ad occhi aperti. Ci sono tavolozze accese e ci sono pozzanghere spente. Sono un dono e una responsabilità, gli occhi. Dio o chi per lui te li dà, ma sta a te riempirli, accenderli, animarli. Bisogna essere all'altezza dei propri occhi. O tirarseli dietro a fatica, assieme a tutta la propria storia. Tenerli bassi, nasconderli dietro lenti scure, lasciarli vagare senza meta non incrociandone altri.
Gli occhi si stringono, si spalancano, si commuovono, si fissano, si chiudono. Danno ordini alle sopracciglia, e quelle si alzano scettiche, si increspano arrabbiate, minacciose. Sono opachi, lucidi, spenti, vivaci, seduttivi o sprezzanti. E hanno il potere di cambiare ciò che osservano: di pesarlo e trovarlo scarso, umiliarlo, ignorarlo o trascurarlo quando invece dovrebbero soffermarcisi a lungo e capire, scaldare, accudire e curare.
E poi ci sono occhi che, ogni tanto, si chinano sui loro sudditi. Le mascherine hanno cambiato il nostro linguaggio ancora più delle nostre vite.
Ci hanno imbavagliati perché parlassimo con altro. Hanno armato i portatori sani di sguardi gagliardi. Chi non ha un paio di occhi adatti, se li procuri in fretta. Ma provveda anche a procurarsi tutto ciò che dietro a uno sguardo ci deve stare.
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