L'integrazione di Riace? Fermato 30enne nigeriano

L'integrazione di Riace? Fermato 30enne nigeriano

Riace: l’isola felice. Che non c’è! Solo pochi giorni fa, Mimmo Lucano, primo cittadino del comune ionico reggino famoso per il ritrovamento dei due guerrieri in bronzo più conosciuti nel mondo, sindaco calabrese più stampato negli USA, uno fra i primi 50 uomini più potenti del mondo secondo la rivista Fortune, unico fra gli italiani, aveva osannato i "nuovi" cittadini del suo paese. Quegli immigrati a cui sono stati consegnati lavoro, casa e amicizia. E, tanto per fare titolone, ne aveva tracciato un profilo altissimo di rettitudine morale, rispetto delle leggi, convivenza pacifica con i nativi. Ormai pochi e subordinati.

Ops! È di queste ultime ore la notizia di cronaca. Nera. Desmon Jhon, nome tipico della nuova popolazione riacese, ma di nascita nigeriana, trentenne, di sesso maschile, militesente, ospite pagato e rimborsato dallo Stato italiano, residente fra le accoglienti pareti di un’associazione del posto, fruitore dal settembre 2015 dei benefeci di tutela e sicurezza per i rifugiati politici e i richiedenti asilo ha ferito a sangue un volontario, della stessa associazione che lo ospita assieme ai suoi connazionali, con il preciso intento di rapinarlo.

Non contento del danno già arrecato, e dei reati già commessi, il riacese di nuova concezione, si è scagliato anche contro i carabinieri accorsi sul posto in seguito ad una chiamata d’emergenza. Delle due, una: o il sindaco è un ottimista, o a delinquere non sono, in quelle contrade, solo i tanto disprezzati calabresi. Il problema è che, nonostante il tamtam della comunicazione, siano in molti, anche fra gli amministratori locali, a chiedere il silenzio sull’accaduto.

Anzi, c’è già chi, amministrando da quelle parti si è affrettato a farsi fotografare con qualche plotoncino di africani. Quasi a cercare un posto in quella classifica americana, prima ignorata, oggi agognata.

Così facendo si corre il rischio, però, di indossare la casacca di quell’ipocrita buonismo che ha soffocato la vera bontà e spalancato i cancelli alla dabbenaggine e alla superficialità. Convivere non significa consegnarsi, ma, offrire la propria solidarietà a chi realmente ne abbia bisogno.

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