Il volo, il lavapiatti e il cliente: il virus dal Bangladesh a Roma

È una famiglia bengalese arrivata in Italia da Dacca a fine giugno il caso indice del focolaio registrato a Fiumicino. Sotto accusa c’è il mancato rispetto dell’isolamento da parte dei cittadini stranieri, che avrebbe contribuito a diffondere il virus in due ristoranti

Il volo, il lavapiatti e il cliente: il virus dal Bangladesh a Roma

Lo spettro di un nuovo lockdown agita il litorale romano. Il virus è arrivato da Dacca su un volo atterrato all’aeroporto di Fiumicino via Doha lo scorso 20 giugno. A bordo ci sono diversi cittadini bengalesi che rientrano nella Capitale dopo un periodo trascorso a casa. Tra loro c’è anche una famigliola: madre, padre e un bimbo di un anno. "Sono stati sottoposti ai controlli in aeroporto e nessuno di loro aveva sintomi evidenti o febbre", ci spiegano dalla Asl Roma 3. Per questo viene disposto l’isolamento fiduciario per due settimane presso il domicilio.

La famiglia lascia i nominativi alla polizia di frontiera, indicando il luogo dove passerà la quarantena: un appartamento non distante da via di Torre Clementina, nel centro storico della cittadina. Ed è qui che il Covid-19 ha avuto campo libero dando vita a nuove catene di trasmissione. In quell’appartamento, infatti, stando a quello che abbiamo ricostruito, vivevano almeno altri due bengalesi. Uno di loro, che lavora come lavapiatti nel bistrot Indispensa, il 24, accusa un malore e si reca al pronto soccorso dell’ospedale Grassi di Ostia. Due giorni dopo arriva la diagnosi: l’uomo è positivo al Covid e viene trasferito allo Spallanzani.

La Asl Roma 3 avvia immediatamente l’indagine epidemiologica e scopre che nell’appartamento sono tutti positivi al coronavirus. La famiglia bengalese che aveva superato gli screening aeroportuali ha infettato entrambi i coinquilini. Il lavapiatti di Indispensa, a sua volta, ha contagiato un collega, i due titolari dell’attività, tre camerieri, ed un avventore del ristorante, intercettato nei giorni scorsi al drive in di Casal Bernocchi. È di ieri la notizia di un nuovo caso che riguarda un familiare di un dipendente.

L'altro convivente del lavapiatti, invece, non avrebbe infettato nessuno. L'uomo ha svolto un solo giorno di prova nella cucina di un altro ristorante, sempre a Fiumicino, ma i titolari ed i loro familiari, che si sono sottoposti agli screening, sono risultati negativi. "Il focolaio è stato domato - raccontano dalla Asl Roma 3 - ma per dire che ne siamo fuori dobbiamo aspettare 14 giorni e ripetere i test". I tamponi effettuati dai professionisti dell’azienda sanitaria locale e dalle Uscar sono oltre 1.200 ed i casi confermati al momento sarebbero almeno 15. Quello che si domandano tutti in queste ore concitate è se si sia fatto tutto il possibile per mettere al riparo la cittadinanza dal virus?

Se lo chiede con particolare insistenza l’avvocato Massimiliano Gabrielli, legale dei proprietari di Indispensa. "Noi mettiamo in dubbio l’idoneità del protocollo, alla data del 20 giugno, giorno in cui sono atterrati i pazienti zero, nel database dell’Oms il Bangladesh risultava un Paese ad alto rischio, il terzo nella scala mondiale dopo Brasile e Stati Uniti", annota il legale. L’autoisolamento, secondo Gabrielli, sarebbe una misura troppo blanda per chi proviene da un Paese classificato con "community transmission", ossia dove il virus circola liberamente all’interno della comunità. "Crediamo che la prassi per la quale un cittadino che proviene da un’area a rischio venga messo in autoisolamento in un appartamento con altri connazionali non sia idonea", continua il legale.

"È vero che chi vive in una situazione di sovraffollamento ha più possibilità di contrarre il virus - confermano dalla Asl - però, nel caso specifico, la famiglia viveva in un appartamento adeguato al numero degli inquilini, non era una topaia, c’erano due bagni". La notizia ha gettato nel panico anche i residenti della palazzina. Sono loro a confidarci che quell’appartamento era già stato oggetto di diverse segnalazioni. Nel condominio, infatti, ci sono due unità immobiliari affittate a cittadini bengalesi, per un totale di otto persone. "Ma qui le persone che entrano ed escono sono ben più di otto, è un porto di mare, siamo preoccupati", denuncia Stefano Costa, consigliere comunale di Fratelli d’Italia che da più di vent'anni abita nella palazzina.

"C’è continuo riciclo, un giorno vediamo delle facce, il giorno dopo delle altre, li vediamo entrare con le chiavi, non sappiamo in quale dei due appartamenti si recano, ma siamo comunque preoccupati", continua Costa. Le perplessità dei residenti sono state anche oggetto di alcuni esposti presentati alle autorità dall’amministratore di condominio. Segnalazioni che però non hanno avuto seguito.

E così adesso chi vive nell’immobile si domanda quanti siano effettivamente i soggetti gravitati da quella casa e se esistano catene di trasmissione ancora sconosciute: "Temiamo che ci siano persone che non risultano ufficialmente residenti lì, che adesso stiano girando per la città".

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