L'italiano raso al suolo dagli architetti

L'italiano raso al suolo dagli architetti

Con jeans stinti ad arte e una giacchetta corta di due misure più piccola del giusto, seguendo una moda giovanile di vent'anni fa, si è presentato a una tavola rotonda per i 70 anni della Confapi, Carlo Ratti, uno dei 160mila architetti italiani che non ha mai costruito nulla. Gli piace immaginare il futuro e si occupa di transizioni. Vivendo da molti anni all'estero, ha dimenticato l'italiano. È diventato così un analfabeta di ritorno. Per fare capire cosa fa si appoggia all'inglese: «Abbiamo scritto dei papers». A più di cinquant'anni da «Opera aperta» di Umberto Eco, scrive «Architettura open source». Con queste difficoltà, se deve parlare di camionisti li chiama «guidatori di camion». E, non essendo in grado di sentire come le città antiche e i centri storici ci parlino, immagina sofisticate trasformazioni digitali. Annuncia prospettive avvincenti come far pagare le tasse ai robot. Nella transizione cadono alcune funzioni e diventano obsolete. Ratti ha così rivelato alla platea sconcertata la «sparizione del dermatologo», una crudele realtà.

Ci sveglieremo, tra qualche anno, in una Smart city, leggendo un paper, con una irritazione alla pelle. E ci sentiremo soli.

Interpretando le profezie di Ratti, tutti i dermatologi avranno chiuso gli ambulatori. Nella nuova città interconnessa gireremo come fantasmi, parleremo con i muri. E, non avendo risposte, rinunceremo ad andare al prossimo convegno della Confapi, per evitare inquietanti rivelazioni.

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