Dal logoramento alla ritorsione

Mario Draghi sta segnando i confini del suo governo. Non lo fa per sentirsi più sicuro. È il segno tuttavia che le sue scorte di pazienza stanno per finire.

Dal logoramento alla ritorsione

Mario Draghi sta segnando i confini del suo governo. Non lo fa per sentirsi più sicuro. È il segno tuttavia che le sue scorte di pazienza stanno per finire. Tutto questo però rischia di fargli commettere errori politici. È come un tennista che smette di pensare il suo gioco e risponde d'istinto, di cuore o di viscere. È la prova che il presidente del Consiglio è meno freddo di quanto si pensi.

È andato al Senato per raccontare come sta andando la guerra e riferire sul suo incontro con Biden a Washington. Il clima non si può definire ostile, ma qualcosa di strano nell'aria c'era, una sorta di indifferenza, con i posti vuoti e l'attenzione rivolta altrove. Lì Draghi ha capito che andare avanti sarà sempre più faticoso. Si è ritrovato con i mugugni dei contiani, con una maggioranza che pensa alle elezioni, con il discorso di Salvini che lo ha ringraziato per aver parlato di pace, ma poi lo ha colpito nell'orgoglio. «Qualcuno prima di lei, Moro, Craxi, Prodi, Berlusconi, in politica estera ha osato. L'Italia veniva prima di altri e prevedeva come uscire dal conflitto». È solo un esempio, ma l'impressione del capo del governo è che i partiti lo stiano in parte lasciando da solo in una stagione storica drammatica. Non è tipo da mostrare irritazione in pubblico, ma l'idea del «chi me lo fa fare?» continua a tormentarlo.

La risposta è politica. Nel pomeriggio arriva la notizia di un Consiglio dei ministri straordinario. Che sta succedendo? C'è addirittura chi teme il peggio. Si sussurra di un braccio di ferro che potrebbe aprire una crisi. È un po' troppo. Non è questo il tempo. Non è in dubbio che senza la guerra Draghi avrebbe detto basta, ma adesso sarebbe vista da tutti come una sorta di diserzione. La mossa del premier è indiretta. I ministri vengono chiamati per mettere la fiducia sul disegno di legge che riforma la concorrenza. Tra le altre cose, in ballo c'è il destino delle licenze balneari. È un tema delicato per il centrodestra e su cui in particolare Salvini è pronto a portare la discussione al limite. La fiducia soffoca ogni dialogo: o si dice sì o cade il governo. A quel punto parte il gioco delle responsabilità.

È qui che Draghi mette da parte il buon senso. Non c'è dubbio che in una situazione eccezionale come questa la maggioranza si debba mostrare compatta. Questo però vale per la guerra e per la scelta di campo europea e atlantica. La concorrenza è un'altra storia.

È stringere all'angolo i partiti sulle battaglie di bandiera. È chiedere di rinnegare senza neppure la possibilità di dialogo. È un aut aut che non fa bene a nessuno. La fiducia in questo caso assomiglia tanto a una ritorsione.

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