La lotta del Papa: riportare il silenzio nei Sacri Palazzi

Benedetto XVI soffre ma tace sullo scandalo. Con il suo esempio vuol restaurare l’antica regola della discrezione

La lotta del Papa: riportare il silenzio nei Sacri Palazzi

Il silenzio più assordante, in questo momento in Vatica­no, è quello del Papa. Non par­la, sembra non reagire alla tempe­sta che scuote la Santa Sede. Ma il suo è un silenzio voluto.Fu duran­te l’udienza generale del 10 marzo 2010 che Benedetto XVI spiegò co­me egli intendesse il governo del­la Chiesa. Mentre i casi di preti ac­cusati di aver commesso abusi su minori investivano la sua Germa­nia, il Papa spiegava in piazza San Pietro la sua idea di governo. Pre­se esempio da san Bonaventura di­cendo che per lui «governare non era semplicemente un fare, ma era soprattutto pensare e prega­re ». «Per Bonaventura - disse ­non si governa la Chiesa solo me­diante comandi e strutture, ma guidando e illuminando le ani­me ». Dal 10 marzo a oggi Ratzin­ger non è più tornato sull’argo­mento. Ma nei fatti ha continuato ad agire così: parole ponderate, molto silenzio e molta preghiera. A dispetto del Papa, il silenzio sembra una qualità che la Santa Sede, un tempo maestra in questo esercizio, ha perso. «Ormai parla­no anche i muri» dice al Giornale un porporato di vaglia. «Siamo di­venuti un colabrodo: si dice tutto di tutti». E, in effetti, è così.

Un tempo la vicenda che ha por­tato alle dimissioni del banchiere Ettore Gotti Tedeschi sarebbe sta­ta gestita nell’anonimato. Gotti Tedeschi, se sgradito, sarebbe sta­to licenziato in modo soft, non cer­to con un documento ufficiale fat­to pubblicare poche ore dopo dai principali giornali italiani. Ed è singolare che proprio di questo si­lenzio disatteso, si fa invece forte oggi lo stesso Gotti Tedeschi: «Vor­rei spiegare la mia verità, ma non parlo per non turbare il Santo Pa­dre » ha detto lasciando però an­che intendere che, chissà, un gior­no potrebbe anche farlo.

Gli esperti di cose vaticane so­stengono che la cura del silenzio, in Vaticano, si è cominciato a di­sattenderla per colpa del proble­ma della pedofilia nel clero. A un certo punto non parlare era dive­nuto impossibile. Il caso Marcial Maciel Degollado - il fondatore del movimento dei Legionari di Cristo che si è poi scoperto avesse una doppia vita fatta di abusi su minori e figli avuti da più donne ­ha segnato uno spartiacque so­stanziale. Prima della sua vicenda certe cose non uscivano dalle ovat­tate mura vaticane. Il silenzio co­priva ogni cosa. Poi non è stato più possibile. Complice anche la pres­sione dei media, la Santa Sede ha capito che occorreva parlare, esse­re trasparenti, con i pregi e i difetti che tutto ciò comporta.

Non sono pochi coloro che in Vaticano, ancora oggi, ritengono che invece un certo silenzio su al­cune vicende sia legittimo. Non sugli abusi sui minori, ovviamen­te, ma più in generale su questa vo­glia di trasparenza che alcuni uo­mini di Chiesa vorrebbero portar­si in casa. Ettore Gotti Tedeschi probabilmente spingeva per que­sto. I suoi superiori, invece, a un certo punto hanno capito che era troppo.

Del silenzio hanno implicita­mente parlato proprio in queste ore anche i vescovi italiani. Appro­vando le linee guida sulla pedofi­lia non hanno imposto l’obbligo di denuncia ai vescovi che vengo­no a­conoscenza di abusi su mino­ri commessi da sacerdoti della lo­ro diocesi. È questo anche un mo­do per salvaguardare uno spazio di silenzio che la Chiesa, tutta, ri­tiene ancora sacro, pena la scomu­nica latae sententiae : il silenzio sui peccati confessati in confessio­nale.

Col silenzio il Vaticano ha sem­pre detto tante cose. Non dire nul­la su alcune vicende, infatti, è val­so più di mille parole. Ancora due giorni fa il Papa è stato criticato per questo motivo. Pietro Orlan­di, fratello di Emanuela Orlandi, la ragazza figlia di un dipendente della Santa Sede scomparsa in mo­do misterioso dal centro di Roma il 23 giugno 1983, chiedeva al Pa­pa all’Angelus una parola, un salu­to, alla famiglia e a coloro che han­no manifestato per la verità su Emanuela. Il Papa, invece, non ha detto loro nulla, facendo capire che probabilmente questa vicen­da per la Santa Sede è chiusa.

Per i corvi del Vaticano, invece, il silenzio non è d’oro. Ieri su Re­pubblica a parlare nell’anonima­to sarebbe stato uno di loro «Lo fac­cio per difendere il Papa » avrebbe detto. Secondo lui Paolo Gabriele sarebbe solo «manovalanza». So­pra di lui ci sarebbero alcune «emi­nenze ».

Il presunto corvo ritiene che Bertone sia inadeguato nel suo lavoro di affiancamento del Papa e facendo uscire documenti scottanti, insomma parlando, in­tende destabilizzarlo. Il silenzio infranto, in questo caso, è un’ar­ma di potere con la quale cercare di far cadere il proprio nemico.

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