In questi giorni si parla spesso di utero in affitto, nell’ambito del dibattito sull’art. 5 del ddl Cirinnà, in discussione in Senato, che secondo molti rischia seriamente di alimentare il mercato della maternità surrogata all’estero. Ma un argomento che non viene spesso trattato e che risulta invece essere problematico al pari dell’utero in affitto è quello della compravendita degli ovociti.
Il senatore di Forza Italia, Lucio Malan, che ha organizzato, assieme al senatore Francesco Aracri e a Pro Vita Onlus, una conferenza stampa sul tema che si è svolta martedì in Senato, l’ha definita una vera e propria “guerra” alle ragazze, le donatrici che spesso sono vittime dimenticate e ignorate. La pratica infatti, come ha spiegato nel suo dettagliato intervento il prof. Giuseppe Noia, ginecologo e docente di medicina prenatale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, comporta infatti non pochi rischi per le donatrici, per le riceventi e per gli stessi bambini così concepiti.
Rischi che spesso non vengono chiariti quando le ragazze, per la maggior parte giovani universitarie contattate tramite i social network o sui giornali delle università e dei college, accettano di vendere i propri ovuli per 8 o 10 mila dollari. Si tratta, in molti casi di ragazze che prestano il proprio corpo a questa pratica per soddisfare un bisogno economico immediato, come le spese dell’università o l’affitto. Totalmente inconsapevoli dei rischi irreversibili che questo comporta. Rischi che sono stati illustrati dal prof. Noia nel suo intervento oggi in Senato: aumento del rischio di tumore al seno a seguito della stimolazione ovarica, perdita della fertilità successiva per l’11,5% delle donatrici, fino alla morte per emorragie e altri problemi cardio-circolatori.
“Jessica ha risposto ad un annuncio e ha venduto i suoi ovociti tre volte, a 29 anni le è stato diagnosticato un cancro al colon e a 34 era già morta” dice la voce narrante del documentario-inchiesta sulle problematiche legate al mercato degli ovociti, Eggsploitation, premiato come migliore documentario al Film Festival della California, di cui alcuni stralci sono stati proiettati al Senato nella stessa conferenza stampa.
Ma non solo: ictus, emorragie interne, infertilità, infarto. Un’altra ragazza racconta che dopo essere rimasta immobilizzata in seguito ad un ictus per circa quattro settimane per essersi sottoposta alla iperstimolazione ovarica, è stata contattata dall’agenzia che l’aveva ingaggiata per la donazione che le ha detto “mi sa che ti dobbiamo dare un assegno per il ciclo interrotto, non sei riuscita a produrre tutti gli ovuli che dovevi, quindi ti daremo 750 dollari e pensiamo che così vada bene”. Conseguenze gravissime insomma, di cui le ragazze non hanno la minima idea, ma che invece alcuni medici sembrano conoscere bene, come si capisce dalle testimonianze raccolte nel documentario. “La cosa più grave è che su questo non c’è nessuna informazione” secondo il prof. Noia, che afferma che chi sfrutta il supermarket degli ovuli “ruba l’anima e il corpo di queste donne”. “È incredibile come nel 2016 possiamo ancora accettare queste schiavitù del corpo” ha continuato il professore.
Ma i rischi dell’ovodonazione non si fermano alle donatrici, ma si estendono alle riceventi e infine ai bambini. L’ovodonazione, infatti, secondo gli studi citati dal prof. Noia, aumenta il i rischio di parto prematuro e di ridotta crescita del feto, un passo indietro incredibile per la medicina neonatale, con tutti i problemi che ciò comporta: problematiche ipossiche gravi per il futuro neuromotorio e psico-intellettivo dei neonati. Le madri riceventi inoltre possono rischiare fino alla perdita dell’utero da complicanze come le emorragie postpartum, un'evenienza che nelle gravidanze naturali invece non è nemmeno presa in considerazione.
Senza considerare che, leggendo alcuni annunci, si sfiora il confine con l’eugenetica quando si legge di persone che cercano donatrici di ovuli di una razza piuttosto che di un’altra e di donne selezionate in base all’intelligenza, alle quali è richiesto uno specifico grado di istruzione, ad esempio, laureate o con master. Per Brandi, di Pro Vita, si tratta di “una soluzione di eugenetica hitleriana perché si sceglie la donna secondo parametri come bellezza o intelligenza”. “Il business derivato da questo processo inoltre”, ha proseguito Brandi, “è altissimo e con la Cirinnà si rischia di alimentare questo mercato e quello dell’utero in affitto”.
“Questo è un
argomento di cui in Commissione non si è parlato, chiedendo il parere di medici ed esperti”, ha denunciato in conclusione il senatore Malan intervenendo nel merito della discussione del ddl Cirinnà in Commissione Giustizia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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