Mi arrabbio a fin di bene

«Lei mi piace quando vannia», mi dice una signora incontrata per strada a Catania. È lo sfogo liberatorio di chi è felice che un altro dica quello che lui vorrebbe dire. Protestando contro il mondo e le ingiustizie, ma costretto dalla prudenza a trattenersi. Così la mia reazione assume il senso di una delega, che è propriamente quella attribuita a un «deputato». Il quale, a sua volta, per opportunismo o per non farsi danni, si contiene. Dà soddisfazione incontrare qualcuno che, a suo rischio e pericolo, ti rappresenta. Anche se questo non è propriamente nella mia indole, che sarebbe socievole e persino mite se non dovessi misurarmi con la quotidiana e diffusa imbecillità, alla quale non mi sembra giusto rimediare con distacco e indifferenza. Io, la mattina, mi alzo contento, poi sono costretto a soffrire per il disordine del mondo. Da questa contrarietà deriva il mio comportamento irruente e talvolta iroso: una difesa irrazionale della ragione. E se il destinatario del mio vanniare non migliora o non si corregge, e quindi la mia reazione violenta non è una soluzione utile, quelli che assistono si sentono però sollevati, vengono presi dall'euforia di quella signora catanese.

È quindi utile agli spettatori che fanno il tifo la mia incazzatura: un effetto consolatorio intrinsecamente democratico. Ed è un doppio risultato: perché così i puniti, illesi, invece di soffrire, godono, e cercheranno di risparmiarsi di essere colpiti anche loro. Alla fine della giornata mi addormento tranquillo.

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