Gli omosessuali che vengono perseguitati nel proprio Paese di origine hanno automaticamente diritto alla protezione internazionale. A deciderlo è stata la sesta sezione civile della Cassazione che ha annullato una sentenza della Corte d'appello di Ancona che, non credendo al racconto di un nigeriano, gli aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato.
Ai giudici della Corte d'appello di Ancona, l'immigrato aveva raccontato che, "data l'estrema povertà in cui viveva, era stato indotto alla prostituzione" e che "la sua famiglia era stata uccisa dai parenti di un cliente" che "si era sentito male durante un incontro". Stando a quanto segnalato nell'istanza di protezione, i familiari del cliente avrebbero anche sporto denuncia alla polizia. Il nigeriano era comunque riuscito a sfuggire dall'arresto quando i poliziotti avevano fatto irruzione nel suo appartamento. "Poiché le minacce continuavano - aveva, quindi, raccontato ai giudici - aveva deciso di lasciare la Nigeria e di raggiungere l'Italia via mare". La Corte d'appello di Ancona non gli aveva creduto, la Suprema Corte sì.
"La sentenza impugnata - sottolineano gli 'alti' giudici - non ha valutato le difficili condizioni personali in cui egli si trovava al momento della narrazione, senza escludere la sostanziale verità del fatto consistente nella reazione violenta dei familiari di un cliente (dell'immigrato, ndr) che aveva portato all'uccisione dei propri familiari e a minacce nei suoi confronti". In questo modo, a detta della Cassazione, i giudici di merito non hanno valutato la sostanziale "coerenza e plausibilità" del racconto. "Non hanno valutato che l'omosessualità era considerata come reato in Nigeria - è l'accausa contenuta nell'ordinanza depositata oggi - è una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di pericolo, tale da giustificare la concessione della protezione internazionale".
La Corte d'appello di Ancona dovrà quindi riesaminare il caso. Non solo. Gli "alti" giudici hanno suggerito ai colleghi di ricordare che la "valutazione di credibilità o affidabilità" del richiedente asilo è "il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione", da svolgere "non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi", ma alla "stregua di criteri stabiliti", quali la "verifica dell'effettuazione di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda", la "deduzione di un'idonea motivazione sull'assenza di riscontri oggettivi", la "non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese", la "presentazione tempestiva della domanda" e la "attendibilità intrinseca". La Corte ha, infine, ricordato al giudice che deve "tenere conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, con riguardo alla sua condizione e alla sua età, e acquisire le informazioni sul contesto socio-politico del paese di rientro".
"La credibilità delle dichiarazioni del richiedente - conclude la Cassazione - non può essere esclusa sulla base di mere discordanze o contraddizioni nell'esposizione dei fatti su aspetti secondari o isolati, quando sia mancato un preliminare scrutinio dei menzionati criteri legali previsti per la valutazione dell'attendibilità delle dichiarazioni, specie quando il giudice di merito non abbia concluso per l'insussistenza dell'accadimento".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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