Nella Corte che deciderà il futuro di Berlusconi

Il ricorso del leader di Forza Italia contro la legge Severino è affidato alla Prima sezione. Ne fanno parte molti giudici "italiani" per studi e cultura. La sentenza in autunno

Nella Corte che deciderà il futuro di Berlusconi

«Lei sa benissimo che dei singoli casi non posso parlare. Né di quello, né di altri». Guido Raimondi sorride cortese nel suo ufficio al sesto piano della Corte per i diritti umani, dalle finestre la splendida vista sui canali che circondano Strasburgo e su un paio di edifici tutti vetro e acciaio, il Parlamento europeo e il Consiglio d'Europa. «Ci hanno provato anche i suoi colleghi di una trasmissione radiofonica: mi hanno invitato per parlare della Corte e poi a bruciapelo, in diretta, mi hanno chiesto se la sentenza sull'incandidabilità di Berlusconi sarebbe arrivata entro il 2017. Ho dato la risposta che posso ripetere a lei: non mi sembra inverosimile».

Raimondi è uno degli italiani che contano in Europa: 64 anni, magistrato di Cassazione, sin da giovane impegnato in una serie di incarichi a livello internazionale, è il presidente del tribunale (nonostante il nome non c'entra nulla con la Ue) incaricato di far rispettare la Convenzione sui diritti fondamentali firmata dall'Italia e dagli altri Paesi del vecchio Continente nel 1949. È lui a guidare i 47 giudici dell'istituzione, uno per Paese firmatario, ed è anche uno dei magistrati della Prima sezione, quella a cui è stato affidato il ricorso di Silvio Berlusconi contro la legge Severino.

Raimondi è il cosiddetto giudice nazionale: quando si discute un caso deve essere sempre presente il magistrato che arriva dal Paese interessato. La regola non obbedisce a un principio di rappresentanza, visto che ogni componente della Corte è indipendente e agisce solo nell'interesse dell'istituzione. Si pensa piuttosto che la presenza di un giudice più vicino alla vicenda possa aiutare i colleghi a comprenderla meglio.

Per la Prima sezione, quella che ha in mano il problema della candidatura del leader di Forza Italia, potrebbe non essercene bisogno: i giudici «italiani», se non per nascita per cultura, abbondano. Il presidente (Raimondi, numero uno della Corte, non può guidare allo stesso tempo una sezione) è un greco, Linos-Alexandre Sicilianos, che l'italiano non lo parla in pubblico ma lo legge correntemente.

La sua vice, nominata da poche settimane, Kristina Pardalos, nonostante il nome esotico è di San Marino, si è laureata a Bologna per poi dedicarsi alla professione di avvocato nella Repubblica del Titano. Il giudice albanese, Ledi Bianku, ha passato almeno un paio d'anni a studiare giurisprudenza all'Università di Trento e come molti suoi connazionali conosce perfettamente usi e costumi del nostro Paese. Una storia interessante è quella del magistrato islandese, Robert Ragnar Spano. In patria, nonostante l'età ancora relativamente giovane (44 anni), è un'autorità: è stato preside della facoltà di legge della maggiore università locale, Ombudsman parlamentare, ha guidato, su incarico del governo e della Chiesa, due delicate commissioni di inchiesta sugli abusi compiuti nelle case d'accoglienza per i bimbi tra il 1947 e il 1992 e su uno scandalo per alcuni casi di pedofilia.

La particolarità è che Spano è almeno per metà italiano: il padre è napoletano e lui racconta volentieri ai colleghi che arrivano dalla Penisola le vacanze sulla costiera amalfitana e la passione per la cucina campana.

Oltre alla pattuglia «tricolore» a completare il gruppo di giudici che dovrà esaminare la legge Severino ci sono poi magistrati dalle nazionalità più disparate: un ceco, una finlandese e poi ancora un armeno, un macedone e un britannico.

Per convincerli, anche Berlusconi ha messo un campo un team multinazionale di avvocati. A guidare le operazioni sono due «registi» italiani, Andrea Saccucci, studio a Roma, e Bruno Nascimbene, docente di diritto a Milano. A collaborare con loro il francese Frédric Sudre, docente universitario, e due star britanniche: il primo è Keir Starmer, per anni Procuratore capo della Corona, e per questo innalzato dalla regina al rango di Baronetto.

Nei mesi scorsi Starmer, deputato laburista dal 2014, è stato nominato dal leader del partito Jeremy Corbyn sottosegretario ombra alla Brexit, e sempre più spesso si trova a duellare alla Camera dei Comuni con gli uomini della Lady di ferro Theresa May. Il secondo legale inglese è il giovane e fascinoso Steven Powles, beniamino televisivo e collega di Amal Alamuddin, la moglie di George Clooney, nello studio Doughty Street Chambers.

Né lui, né gli altri avvocati di Berlusconi a Strasburgo si vedono spesso. Non per cattiva volontà, ma semplicemente perché non serve: una delle particolarità della Corte è che tutto, salvo casi eccezionali, si svolge per iscritto. L'anno scorso le sentenze di merito pronunciate sono state quasi duemila, ma nel palazzo disegnato dall'archistar Richard Rogers, la Hearing Room, l'aula delle sedute plenarie, si è aperta non più di una trentina di volte, per altrettante udienze pubbliche.

A intervenire in questo caso è la cosiddetta Grande Chambre, una Corte formata da 17 giudici, che viene chiamata in causa quando si ritiene che il caso in esame possa rappresentare un precedente particolarmente rilevante. Un paio di anni fa è successo per un ricorso contro la legge francese che vieta il burka nei luoghi pubblici. Fu la Grande Chambre a stabilire che Parigi non aveva compiuto alcuna violazione dei diritti fondamentali.

Il caso Berlusconi-Severino rientra tra quelli affidati alla trattazione scritta. Appena prima di Natale il governo italiano ha comunicato, con un paio di mesi di ritardo, le sue osservazioni, ora tocca agli avvocati del leader di Forza Italia inviare le proprie contro-deduzioni e poi, entro aprile-maggio il governo avrà un'ultima possibilità di intervento. I tempi parlano di una decisione che potrebbe arrivare in autunno.

Intanto la Corte deve fare i conti con il suo problema principale: un successo che rischia di incepparne il funzionamento.

Nel 2016 i ricorsi hanno superato quota 53mila. Molti, la stragrande maggioranza, sono subito giudicati inammissibili.

Ma l'arretrato, che Raimondi era riuscito a ridurre, ha ricominciato a salire: i processi fermi sfiorano ormai quota 80mila. E l'ultima emergenza si chiama Turchia: nei mesi successivi al colpo di Stato le richieste d'intervento urgente da Ankara e dintorni hanno superato la quota record di seimila.

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