Niente pietà per i vip. Annullato lo "sconto" a Corona il ribelle

Mano pesante dei giudici contro il paparazzo: la pena torna a 13 anni. Ora non gli resta che sperare nella grazia

Fabrizio Corona al Tribunale di Sorveglianza a Milano
Fabrizio Corona al Tribunale di Sorveglianza a Milano

D'accordo, sarà pure antipatico. O perlomeno lo era con quel suo fare arrogante e guascone, protetto da muscoli tesi e gonfi tanto quanto un portafogli sempre pieno fin dalla giovane età. Famiglia borghese, la Milano da bere «bevuta», macchine sfavillanti, appartamento di lusso in pieno centro, splendide fanciulle pronte a condividerne la «vita al massimo». Ma quant'è lontano oggi quell'avventuriero senza scrupoli? Cos'è rimasto di quel bullo strafottente convinto di essere il migliore? Di non dover mai pagar pegno. Fabrizio Corona, dopo due anni di carcere, è un uomo distrutto. Psicologicamente devastato, ai limiti della paranoia, forse a rischio della vita. Un ex vincente, invidiato e per questo ancor più detestato.

Ma che da ieri comincia ad assomigliare a un martire. Eh già, la Giustizia italiana sta riuscendo pure in un simile «miracolo». Accanendosi così esageratamente e implacabilmente da trasformare un cattivo, che andrebbe rieducato, in una vittima, adesso, da salvare. Dalle toghe, da un sistema giudiziario incapace di fare la tara. Di distinguere, di soppesare. E che soprattutto si mostra inutilmente spietato. Il paparazzo dei vip, vip a sua volta condannato quanto un mafioso, un narcotrafficante, addirittura più di tanti assassini.

Il capolavoro giudiziario è riuscito ieri alla corte di Cassazione che a dispetto delle domande di grazia, degli appelli di intellettuali e persone di buon senso, ha voluto rispondere accogliendo il ricorso della procura di Milano. Altro che sconti, semplici benefici o magari la possibilità di una qualche misura alternativa al carcere. No, per l'odiato Corona, protervio individuo che osò sfidare e criticare la magistratura, aumento di pena. Una sorta di vendicativo algoritmo leguleio che funziona più o meno così: non vale lo sconto che, lo scorso febbraio, gli aveva concesso il gip applicando il principio della «continuazione» dei reati per cui al paparazzo «ricattatore» il cumulo di pena totale era stato diminuito da 13 anni e 2 mesi a 9 anni.
Corona in cella ci dovrà rimanere, giorno più giorno meno, altri undici anni. Un'enormità. Erika e Omar, carnefici brutali, di galera ne hanno fatta meno; altrettanto le assatanate assassine della suora di Chiavenna. Spacciatori e malavitosi vari la cella in questo nostro Paese dove la legge (non) è uguale per tutti, spesso la schivano senza dover fuggire. Per Corona, «delinquente borghese», invece nessuna indulgenza. Manco fosse un pericoloso boss, manco i reati da lui commessi- certo odiosi e riprovevoli- fossero paragonabili a quelli di un mafioso o di un killer. In fondo lui rischia di passare un bel pezzo di vita dietro le sbarre per una serie di condanne «minori». Piccole ma tante: fatturazioni taroccate, spaccio di denaro falso (qualche banconota da 50, ndr), bancarotta. Fino a quella estorsione che solo i magistrati sono riusciti a configurare come tale. Trattasi dei 25 mila euro che il paparazzo si era fatto dare dal calciatore Trezeguet per non pubblicare le immagini che lo ritraevano in compagnia di una ragazza che non era la moglie. Proprio qui sta il nocciolo. Il reato è ostativo e dunque impedisce al condannato di poter ottenere qualsiasi beneficio di legge. Nel caso in questione, proporre a Trezeguet di vendergli una foto è stata vista come un'estorsione, e la presenza all'appuntamento dell'autista di Corona- come fosse un minaccioso complice- è bastata per far scattare l'aggravante. Dunque per Corona regime duro. Non gli resta che sperare nella Grazia o nella possibilità di entrare in una comunità. L'istanza l'ha presentata l'evvocato ed ex ministro la Russa.

Nel frattempo la palla tornerà a un gip del Tribunale milanese che dovrà ricalcolare esattamente il cumulo

delle pene. Circa 13 anni, prevede l'avvocato Ivano Chiesa. «Siamo in una situazione molto grave - ammette scoraggiato il difensore -, non ho altre parole per descrivere questa sentenza».
Noi si. Ma non si possono usare...

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