La notte in cui i gerarchi "processarono" il Duce

La notte in cui i gerarchi "processarono" il Duce

L'evento cruciale accadde il 31 dicembre, quando 33 consoli della Milizia si presentarono all'improvviso a palazzo Chigi. Attraversarono saloni deserti fino a incontrare, in solitudine, l'usciere Navarra. Il poveruomo provò ad annunciarli, ma questi lo seguirono entrando nella stanza di Mussolini prima di riceverne il permesso. Ne abbiamo testimonianza attraverso Renzo Montagna (Mussolini e il processo di Verona), uno dei consoli che poi avrebbe seguito il Duce a Salò, diventando capo della polizia. Mussolini non era solo nella stanza: con lui c'erano il ministro del Tesoro e delle Finanze De Stefani e il generale Asclepia Gandolfo, comandante della Milizia. I consoli erano guidati da due uomini che avevano combattuto con valore in guerra tra gli Arditi ed erano fascisti della prima ora: Enzo Galbiati e Aldo Tarabella. Mussolini chiese ragione dell'assenza di Tullio Tamburini, temutissimo ras di Firenze, testa bollente che già aveva minacciato di andarsene per conto proprio. Tarabella gli porse una lettera in cui Tamburini annunciava che «avrebbe dato subito inizio alla reazione contro gli antifascisti». (E, in effetti, Firenze visse una giornata nerissima: 4000 squadristi armati diedero l'assalto al carcere delle Murate per liberare i fascisti arrestati. Furono respinti, ma invasero la città, incendiando sedi di giornali e partiti antifascisti).

Mussolini, scurissimo in volto, posò la lettera sul tavolo e, quando si accorse che De Stefani aveva allungato l'occhio, fu lesto a infilarsela in tasca. Parlò per tutti Tarabella, il quale ammise che gli auguri di fine anno erano un pretesto: «Siamo venuti da voi per dirvi che siamo stanchi di segnare il passo. O tutti in prigione, compreso voi, o tutti fuori. Le prigioni sono ormai piene di fascisti. Si sta facendo il processo al fascismo e voi non volete assumervi la responsabilità della rivoluzione». Dopo una scaramuccia sulla boutade di costituirsi a Regina Coeli, Mussolini disse: «Ma infine che cosa si vuole? Cosa si chiede? Che cosa pretende lo squadrismo? Normalizzazione, normalizzazione!».

Tarabella: «Come! Voi che avete infiammato tanti giovani cuori, che tanto avete esaltato questa santa canaglia, voi che avete indotto tanti giovani agli eroismi più sublimi, pretendete ora che questa santa canaglia a un sol colpo della vostra bacchetta magica, si plachi? Via, Eccellenza, voi esagerate!».

Mussolini si ritirò in difesa: «Ma voi vedete bene come sono deserte le aule di palazzo Chigi in questi giorni. Che vuoto pneumatico intorno a me».

Tarabella: «Duce, ci siamo noi che siamo fedeli!». E i consoli in coro: «Sì, ci siamo noi che siamo fedeli. Lo giuriamo!».

Mussolini: «In uno dei momenti più delicati della mia vita politica mi hanno gettato tra i piedi un cadavere che mi impedisce di camminare».

Qui Tarabella sferrò l'affondo decisivo: «Che capo di una rivoluzione siete se vi impressionate di un cadavere? Ma è forse troppo un cadavere, Duce, per la vostra grande rivoluzione? Quanta acqua è passata sotto i ponti da quell'ottobre del 1922. Allora voi vi misuraste con la corona. E ora? Sparirà il gran Giolitti e voi diventerete il notaio della corona». Un accenno alla nuova legge elettorale apprezzata da Giolitti e dai liberali, e poi la stilettata: «Siate pur certo che con voi capo del governo e Duce del fascismo, il regime sparirà un giorno senza scosse pericolose, per i vostri alti fini di normalizzazione. Quale amara delusione! Ancora una volta voi avete disperatamente tesa la mano alle opposizioni. Ma con questo non fate che dilazionare la vostra miserevole fine...».

Mussolini era tramortito. Uno dei consoli gridò: «Bisogna fucilare i capi dell'Aventino!». E il Duce: «Bisognerebbe piuttosto fucilare gli assassini di Matteotti, che sono i veri responsabili di questa situazione». Si accavallarono voci e grida. «Prima fate fucilare gli uni e poi gli altri». Tutti uscirono tranne Tarabella, che si fermò per un supplemento a quattr'occhi.

Mai Mussolini era stato e sarà trattato in questo modo, nemmeno al Gran Consiglio del 25 luglio 1943. Galbiati e Tarabella la pagheranno: saranno espulsi nel 1925 dalla Milizia per indisciplina.

Ma Mussolini, quella sera di San Silvestro, capì che la sua sopravvivenza politica sarebbe dovuta passare attraverso un colpo di Stato, che cominciò tre giorni dopo, il 3 gennaio 1925. Roberto Farinacci, il vero alter ego di Mussolini, aveva vinto.

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