In Pakistan un meccanico di fede cristiana è stato condannato a morte con l'accusa di blasfemia. Il malcapitato, il 34enne Ashfaq Masih, è stato giudicato colpevole da un tribunale di Lahore per aver mancato di rispetto al profeta Maometto. L'azione blasfema di Masih sarebbe stata compiuta nel 2017, al culmine di una lite tra lui e un cliente della sua officina per moto, ubicata sempre a Lahore.
Il cliente in questione si sarebbe rifiutato di pagare il servizio eseguito da Masih, dicendo di essere un "devoto musulmano". Il 34enne cristiano non avrebbe allora voluto sentire ragioni, pretendendo da quel cliente il pagamento della prestazione, senza alcuno sconto. Il meccanico avrebbe quindi messo in chiaro che "il suo unico profeta era Gesù, non Maometto" e che, di conseguenza, non aveva rilevanza alcuna per lui il fatto che quella persona fosse un musulmano devoto.
La contrarietà di Masih a concedere uno sconto di prezzo a quel cliente islamico e la sua dichiarazione su Maometto hanno alla fine scatenato contro il primo la macchina della giustizia pachistana, che ha immediatamente reputato la vicenda come un crimine soggetto all'applicazione della legge nazionale anti-blasfemia. Per tutti questi ultimi cinque anni il 34enne è stato dietro le sbarre in custodia cautelare, con il processo a suo carico che è andato avanti su impulso delle pressioni esercitate dai gruppi musulmani radicali, imperterriti a invocare la morte del meccanico cristiano. Alla fine il processo si è concluso con la condanna a morte dell'imputato e con lo sconvolgimento totale della famiglia di lui.
L'avvocato del meccanico e diverse organizzazioni per i diritti umani hanno subito bollato la sentenza come il frutto delle minacce lanciate contro la Corte dagli islamici integralisti. Il legale dell'accusato ha poi denunciato come "infondate, false e ridicole" le incriminazioni formulate contro Masih dalla Pubblica accusa e ha anche detto che l'intera vicenda giudiziaria sarebbe stata architettata contro il 34enne dal titolare di un'officina concorrente.
Nasir Saeed, direttore dell'ong per i diritti umani Centre for Legal Aid Assistance and Settlement, ha definito come "ripugnante" la sentenza emessa ai danni di Masih e ha così tuonato: "A causa delle pressioni dei gruppi
islamici, i giudici delle Corti inferiori sono sempre riluttanti a liberare le vittime e prendono così decisioni popolari per salvare la loro pelle e cedere in questo modo la patata bollente alle Corti superiori".
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