Come dice il nome, Gregorio Magno fu un grande pontefice e un sant'uomo, tanto che è stato fatto, appunto, santo. Eletto papa nel 590 - contro la sua volontà, ci viene tramandato - si impegnò subito nell'assistenza ai romani, perché la città era stata colpita dalla peste. Organizzò dunque una processione, durata tre giorni, per calmare l'ira divina. Era il modo peggiore per combattere l'epidemia, la vicinanza di tante persone favorì il diffondersi del contagio, ma allora non si sapeva. Il suo omonimo Gregorio di Tours, cronista e vescovo dell'epoca, scrive che la peste «accompagnava il corteo e falciava gli uomini facendoli stramazzare al suolo senza vita», finché una visione soprannaturale pose termine alle litanie: mentre il papa, alla testa della processione, attraversava il ponte che conduce a San Pietro, il popolo vide librarsi sopra la mole Adriana l'arcangelo Michele, che «rinfoderò la sua spada fiammeggiante come per significare che la pestilenza era finita». Da qui la trasformazione del mausoleo di Adriano in Castel Sant'Angelo e la grande devozione dei romani di allora verso Gregorio, che oggi potrebbe essere definito «untore involontario». Cito questo episodio perché l'ignoranza dei tempi antichi ci fa sempre sorridere, mentre la nostra ignoranza di oggi ci fa disperare. È vero, la scienza medica ha fatto progressi enormi, inimmaginabili, negli ultimi quattordici secoli. Però siamo ancora lì, a combattere - sempre con la paura di perdere - contro minuscoli batteri stupidissimi e perfidi che possono compiere carneficine e che una volta potevano sterminare popoli interi. Si pensi ai popoli del Centroamerica, che nel Cinquecento vennero distrutti, più che dai cannoni degli spagnoli, dai nuovi bacilli portati dagli invasori. Le nostre difese, per quanto aumentate in efficacia e rapidità, sono ancora insufficienti. Impediamo i voli aerei dalla Cina, puntiamo pistole-termometro alla fronte di chi scende da un aereo qualsiasi, isoliamo i malati e i sospetti, ci mettiamo le mascherine. Poi - zac - un povero signore delle parti di Lodi, che non ha mai avuto neppure la soddisfazione di andare a Pechino, prende il virus e lo diffonde: anche alla moglie incinta di otto mesi, l'orrore è sempre nei dettagli. Cosa fare? Cosa dire? Lo storico che si occupa dell'oggi deve parlare come una vecchia zia, di quelle noiose perché, alla fine, sagge. Non facciamoci prendere dal panico, ma lasciamoci prendere senza vergogna dalla paura, che è un sistema di difesa naturale della vita. E avere paura in un modo intelligente, sano, significa seguire i consigli di chi ne sa molto più di noi.
Per esempio, quelli di Roberto Burioni: lo potete leggere su Twitter, su Facebook e, meglio ancora, su medicalfact.it. Per fortuna nel web, in mezzo a chi celia e a chi diffonde il panico, c'è anche qualcuno che sa e ragiona.@GBGuerri
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