Occhio al pesce che mangiate perché, spesso, non è quello che vi dicono essere. Per esempio? Pangasio fatto passare per cernia, halibut per sogliola, brosme per baccalà, e squalo per pesce spada. Tra l’altro l’80% che finisce sulle tavole degli italiani è incredibilmente di provenienza estera, il 40% addirittura da fuori l’Europa, secondo i dati Istat elaborati da Coldiretti. Ogni anno nei nostri mari si pescano 180mila tonnellate di pesce, ma l’import sale a oltre un milione di tonnellate.
Inoltre, buona parte del pesce importato non sarebbe fresco e conservato a dovere e di qualità più bassa di quello che è spacciato invece essere. Ecco, rifacendosi sempre ai dati Istat numerosissime gli illeciti rilevate dalle capitanerie di porto tricolore e dai Nas: nel corso del 2017 hanno effettuato 21.112 verifiche lungo tutta la filiera, rilevando 2.814 irregolarità: insomma, quasi il 15%.
Schiuma di rabbia Luigi Giannini, presidente Federpesca: "La situazione odierna è inaccettabile, frutto di un’operazione fallimentare che promana l’Unione Europea per incentivare in ogni modo l’abbandono del settore. Così ci ritroviamo a proteggere il nasello e il gambero del Canale di Sicilia mentre magari Tunisia ed Egitto li pescano al posto nostro".
Ciò nonostante, Giuseppe Palma, medico veterinario e segretario generale di Assoittica, associazione che riunisce un centinaio di aziende del settore, contattato da La Stampa, dice no agli allarmismi: "Non esiste Paese al mondo in cui ci sia maggior qualità dei controlli. Io dico sempre che i sequestri ci sono perché ci sono gli accertamenti. Un rischio reale non c’è. Tutta l’Europa importa e il pesce importato offre maggiori varietà, servizio e prezzi calmierati.
Uno dei problemi principali non è la mancanza di pesce nostrano, ma che sono cambiate le abitudini alimentari degli italiani. Il pesce fresco va pulito, puzza, va consumato in fretta, e il consumatore si rivolge sempre di più verso un prodotto con servizio: pulito e sfilettato".
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