Così è fallito il piano anti-pandemia dell'Italia

L'Italia aveva un piano in caso di emergenza ma nessuno ha seguito le linee guida: ecco cosa è mancato

Così è fallito il piano anti-pandemia dell'Italia

Linee guida vecchie e non aggiornate, troppe idee confuse e tanti fondi spesi male. Se l'Italia adesso è in ginocchio, vessata da un'emergenza sanitaria senza precedenti, è anche perché il suo piano pandemico ha fallito su tutta la linea. E le cause principali di un disastro pressoché annunciato sono quelle che abbiamo appena elencato.

L'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ripeteva da anni che una pandemia avrebbe potuto mettere in ginocchio il mondo intero, e sempre da anni si raccomandava affinché ogni singolo Stato fosse pronto ad affrontare il peggio. In che modo? Attraverso una pianificazione e una corretta preparazione. Gli allarmi sono aumentati soprattutto dopo la diffusione di Sars e H1N1, due epidemie esplose rispettivamente nel 2002 e nel 2009.

Tornando al presente, in questi complicatissimi giorni in cui il nuovo coronavirus, in Italia, sta mietendo centinaia e centinaia di vittime, vale la pena farsi una domanda. L'Italia era pronta ad affrontare un nemico invisibile come il Covid-19? La risposta è purtroppo sotto gli occhi di tutti. No, non era affatto pronta. Anche se avrebbe dovuto esserlo.

A questo proposito La Stampa avanza una lista di possibili spiegazioni. Si va da piani d'azione obsoleti a uno stoccaggio delle mascherine protettive affidato alle Regioni, tra burocrazia e ostacoli amministrativi di ogni tipo, fino a soldi gettati al vento. Ebbene sì, fondi che avrebbero potuto aiutare a rafforzare le difese del Paese sono stati spesi in progetti assai meno utili che non il potenziamento di un piano pandemico

Il fallimento del piano italiano

Il piano pandemico italiano risulta vecchio di almeno una decina di anni. Anzi: 14 per la precisione. Il sito dell'Oms lo data al 2010, ma aprendo il file notiamo come anno di elaborazione del documento il 2006. Un altro particolare da considerare è che il nostro sistema sanitario nazionale è regionalizzato; questo significa che le norme di prevenzione sono rimandati a documenti regionali. Il problema è che molte regioni non hanno mai attualizzato la loro capacità di risposta.

E pensare che il piano nazionale affidava ai singoli governi regionali compiti fondamentali come la stima del fabbisogno dei dispositivi di protezione individuale e kit diagnostici, oltre che la messa a punto di piani di approvvigionamento e distribuzione degli stessi. Un altro compito avrebbe dovuto essere quello di fare il punto sulla disponibilità delle strutture di ricovero e cura, comprese quelle con apparecchi per la respirazione assistita.

Il cuore del piano pandemico italiano avrebbe dovuto essere il Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (Ccm), istituito niente meno che dal ministero della Salute. Il suo compito? Svolgere analisi dei rischi epidemiologici nel Paese, operando in coordinamento con Regioni, università, sanità militare e centri di ricerca. Nel suo sito non ci sono riferimenti dettagliati alle azioni di preparazione in caso di epidemie. Nel campo delle emergenze trovavamo invece, fino a poco tempo fa, consigli su come prevenire il calore estivo, la tubercolosi o la promozione dei primi 1000 giorni di vita di un neonato.

Il Corriere della Sera focalizza l'attenzione su un altro aspetto. L'ultimo piano governativo contro le pandemie è stato aggiornato nel 2016. Le linee guida sembrano ottime. Nel documento, in caso di emergenza, si parla di “preparare in anticipo le strategie di risposta a una eventuale pandemia” perché qualora l'infezione riuscisse a trasmettersi da uomo a uomo sarebbe problematico controllare il virus.

Insomma, nero su bianco, appariva indispensabile “preparare in anticipo le

strategie di risposta alla eventuale pandemia, tenendo conto che tale preparazione deve considerare tempi e modi della risposta”. Niente di tutto questo è stato fatto. E oggi la situazione è sotto gli occhi di tutti.

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