Pisapia rovinato da cattive amicizie

Il sindaco Giuliano Pisapia accorso al tribunale di Milano
Il sindaco Giuliano Pisapia accorso al tribunale di Milano

Conosco bene Giuliano Pisapia. Fummo colleghi in Parlamento nella XIII (1996/2001) e nella XIV (2001/2006) legislatura, in piena epoca berlusconiana. Si distingueva, come già si era distinto come avvocato, nel riconoscere e denunciare gli errori della magistratura trovandosi spesso su posizioni simili alle mie. Garantista. Per alcuni è quasi un'offesa. Vuol dire battersi per gli innocenti e difendere anche i colpevoli: nessuno tocchi Caino. Ci univa un comune denominatore radicale; ma questo era, è, l'individuo, l'uomo Pisapia. La sua parabola politica, da Rifondazione comunista a un inverosimile Campo progressista, inteso come campo minato, «insieme», inteso come divisi, è segnata da un trauma che fa intendere la convivenza in lui di visioni di lotta e di posizioni di governo. Durante la crisi di governo del 1998, vota per la fiducia all'esecutivo Prodi, in dissenso dalla linea decisa dal segretario di Rifondazione, Fausto Bertinotti. Porta con sé, da allora, questa contraddizione. E oggi si sente nella condizione ideale per fare da ponte fra la sinistra del cuore e la sinistra di governo (sembra incredibile: quello che un tempo fu Prodi oggi è Renzi). Al di là di questa proiezione di sé, figlia delle suggestioni degli anni della formazione, Pisapia è il classico bravo ragazzo di buona famiglia milanese, in diversi momenti portato fuori strada dalle cattive compagnie. L'ultima è quella di Bruno Tabacci, democristiano lusingato da goliardi marxisti leninisti, che Pisapia volle con sé, quando fu sindaco a Milano, come assessore al Bilancio, con l'assoluto privilegio di poter esercitare il suo mandato nel mio ufficio di assessore alla Cultura, con il bagno d'oro, in Palazzo Toeplitz. Attenti a quei due. Dopo la rinuncia al secondo mandato di sindaco e il breve letargo, Pisapia si sveglia con nuove ambizioni e persegue l'obiettivo di non dissipare il pulviscolo prezioso di una sinistra più di individui che di massa, dove si agitano, meno felpati di lui, tutte prime donne: l'intrattabile D'Alema, il pittoresco Bersani, il disperato Speranza, l'impossibilista del Possibile Civati, il disturbato Fassina, l'irriducibile Fratoianni. Su di loro, leggero come una pantera rosa, sta Pisapia. Rassicurante e irresoluto, tra eleganza e affettazione, come un personaggio di Lorenzo Lotto: «Solo, senza fidel governo et molto inquieto della mente». Così, dopo mesi di incontri, dibattiti, turbamenti, Pisapia se ne esce con una dichiarazione inverosimile, ma che, conoscendo l'uomo, ci sta. Senza alterare la voce, conversando tranquillamente, come un Grillo qualsiasi, senza effetti speciali, assume una posizione sconcertante, che è prima di tutto mortificazione della politica, qualunquismo: «Non ambisco nessun ruolo... non penso nemmeno lontanamente di candidarmi alle prossime elezioni». Panico, sconcerto: che politico è uno che non si candida? Una testimonianza di sfiducia e di snobismo insieme. Si avvertirono, in quei giorni non lontani, i primi segni di squilibrio di Giuliano, fino a quel momento sopiti, dissimulati. Io non volevo credere alle mie orecchie. Passa qualche giorno, e il dandy ci ricasca. Pisapia sa che i suoi compagni di avventura e disperazione odiano Renzi, e sa che il primo uomo di Renzi è la Boschi. Incontra la Boschi alla Festa dell'Unità di Milano, tre giorni fa, e, compiaciuto, l'abbraccia, l'accarezza, la guarda perfino con desiderio, in lui sempre prudentemente filtrato, non resiste. Così toccò ad Adamo con Eva. E tutti i suoi furono dannati. Non più «insieme», ma sempre più divisi. Difficile distinguere tra l'abbraccio umano e l'abbraccio politico. Certo, a sua discolpa, Pisapia potrebbe dire che non avrebbe riservato lo stesso abbraccio alla grinzosa Boldrina. Però che differenza! Si abbracciano i corpi, non le idee; e lui ha voluto sperimentare la separazione delle carriere.

Oggi si ribella e afferma solennemente: «Il Pd non è il nemico. Divisi si può solo perdere». Perfino Merola, sindaco di Bologna, prova tardivamente a interpretare il gesto di Pisapia: «È stato un errore fare la scissione». Errore, dunque, l'odio. Ma le carezze, no!

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica