Mentre gli altri Paesi si attrezzano per affrontare il terrorismo islamico, non temendo di chiamarlo col suo nome, l'Italia - col suo presidente del Consiglio - dice che ci penserà e si darà da fare solo dopo che gli altri avranno costituito una coalizione possibilmente vincente. È la solita manfrina che noi facciamo ogni volta che ci troviamo di fronte a imprese che comportano un qualche rischio, e perciò prendiamo tempo, ci pensiamo, divaghiamo, nella speranza che, nel frattempo, le acque si calmino e di cavarcela a buon mercato. Raramente abbiamo finito una guerra dove e con chi l'abbiamo incominciata, abbiamo l'abilità di squagliarci al momento opportuno cogliendo le circostanze opportune e sta succedendo anche questa volta.
Siamo in guerra, diciamo che c'è la guerra, ma fingiamo che non ci sia e che, soprattutto, non ci riguardi da vicino; facciamo parte dell'Occidente democratico-liberale e capitalista al quale l'estremismo islamico ha dichiarato guerra, ma ci comportiamo come non ne facessimo parte e non fossimo anche noi minacciati. Così, evitiamo di impegnarci e giriamo attorno al problema, sperando che a nessuno venga in mente di cercare di assassinare il Papa durante il Giubileo. Matteo Renzi è un maestro nell'arte di divagare; è un affabulatore che usa una montagna di parole senza dire e, soprattutto, fare nulla. Non sa palesemente che pesci pigliare; parla, parla senza costrutto sperando di cavarsela. Fortunatamente, non siamo l'obiettivo principale - che rimane la Francia - e, per ora, ce la caviamo.
Ma fino a quando ce la caveremo? Abbiamo visto che cos'è successo a Parigi e dovremmo averne tratto una lezione. Nel '39, la Francia si schierò contro Hitler e vinse la guerra, sconfiggendo, con gli inglesi e gli americani, il nazismo. Se fosse dipeso da noi, parleremmo tedesco e saremmo da un pezzo una colonia del Terzo Reich. A spingerci a prendere una decisione, e a schierarci dalla parte giusta, furono le vicende belliche. Abbiamo perso la guerra e festeggiamo, con retorica, una vittoria che non è la nostra. Il nostro europeismo consiste nell'evitare di aggiungere al sostantivo terrorismo l'attributo islamico, come suggerisce (impone) la cauta, e un po' vile, burocrazia di Bruxelles.Nessuno pretende che si dia sfoggio di particolare temerarietà. Ma un minimo di consapevolezza circa ciò che ci sta accadendo intorno dovremmo almeno manifestarlo e non guasterebbe con i tempi che corrono.
Evitiamo gli allarmismi, predica il capo del governo. Ma, tradotto, significa che preferiamo mettere la testa nella sabbia e chiudere gli occhi. Per carità, nessuno pretende di vivere in una sorta di perenne stato d'assedio, ma almeno un minimo di cautela sarebbe utile. Un conto è evitare inutili allarmismi; un altro sapere, e comportarsi mostrando di sapere in che mondo viviamo.
A me pare, francamente, che il nostro esibito disimpegno sia cinico opportunismo - del quale il nostro capo del governo, è maestro - se non una forma, neppure tanto occulta, di vigliaccheria.Piero Ostellinopiero.ostellino@ilgiornale.it
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