La vita dell'imprenditore potentino, Angelo Ciuffreda, si era trasformata in un inferno. L'uomo era stato risucchiato da un giro di usura: ha ceduto proprietà immobiliari avendo in cambio assegni da oltre un milione di euro ma emessi fittiziamente.
Pagava interessi con un tasso oltre il 70 per cento annuo. E per di più, su quello stesso giro, gravava la minaccia di un pericoloso clan della camorra campana. Ora Ciuffreda ha avuto "giustizia" dalla Cassazione, dopo la scoperta del giro di usura, ma oltre il danno la beffa: ha perso la speranza di essere risarcito dei danni personali e di quelli subiti dalla sua azienda, la "building center Srl".
I fatti risalgono al 2008. Dopo il blitz della guardia di finanza che pose fine all’attività illecita, l’imprenditore lucano, vittima del giro di usura, non si costituì parte civile nè per sè nè per la propria azienda nel processo penale, concordarono un risarcimento di 310mila euro e firmando la relativa liberatoria come ricorda il quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno.
Ciuffreda ha più volte fatto ricorso, dal primo grado di giudizio alla Cassazione, per ottenere la restituzione degli immobili e degli assegni, ma le sue istanze sono state respinte.
Le sue rivendicazioni sono state ritenute infondate. La società di cui è titolare, secondo i giudici, non era vittima di usura e, lo stesso imprenditore, aveva ottenuto i 310mila euro a titolo di risarcimento.
Secondo la Cassazione, la società di Ciuffreda, essendo estranea al rapporto illecito che l’imprenditore aveva instaurato con le persone poi arrestate, doveva chiedere allo stesso imprenditore la propria quota di risarcimento.
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