Migranti, processo al "generale". E i pm vengono minacciati di morte

A Palermo prosegue il processo in corte d'assise su Mered, presunto principale trafficante di esseri umani arrestato nel 2016: da tre anni l'imputato sostiene la teoria dello scambio di persona, intanto i pubblici ministeri denunciano minacce di morte

Migranti, processo al "generale". E i pm vengono minacciati di morte

Da almeno tre anni in carcere a Palermo potrebbe esserci uno dei più pericolosi criminali, principale referente delle organizzazioni che gestiscono il traffico di esseri umani dall’Africa verso l’Italia, oppure un falegname innocente totalmente estraneo alle accuse.

Il clima che si respira nei processi in cui è imputato Mered Medhanie Yedhego, se davvero di lui si tratta, appare surreale: arrestato a Khartoum nel 2016, estradato in Italia e raggiunto dalle indagini della procura di Palermo, l’uomo però da dietro le sbarre continua a fare riferimento ad un presunto scambio di persona. Colui che secondo l’accusa è il più pericoloso trafficante di esseri umani, afferma invece di chiamarsi Mered Tasmafarian Behre e di essere un falegname eritreo che nel 2016 si trova nella capitale sudanese in quanto in procinto di entrare in Libia e raggiungere da lì poi l’Italia.

Il clima però, oltre ad essere surreale, nelle scorse ore si fa teso: infatti nell’ultima udienza tenuta presso il capoluogo siciliano, i pubblici ministeri che rappresentano la pubblica accusa nel processo dichiarano di subire minacce di morte molto gravi. Contro due magistrati in particolare, sarebbero arrivate nei giorni scorsi mail dal contenuto inequivocabile: “Bruciate all’inferno” è la frase maggiormente ricorrente.

Gli atti adesso, come scrive l’agenzia Agi, sono inviati a Caltanissetta il cui tribunale è competente quando ad essere coinvolti sono magistrati in servizio presso la procura palermitana. Un elemento quindi molto grave, che si aggiunge alle tante incognite di un processo in cui si cerca di accertare l’identità della persona arrestata tre anni fa.

Proprio nell’udienza di questo venerdì, in aula viene sentito il fonico Michele Vitiello, perito tecnico nominato per dare il proprio parere su quelle stesse intercettazioni che nel 2016 incastrano l’imputato. Ma la matassa non si sblocca: secondo Vitiello, le intercettazioni sono da considerarsi inconcludenti.

“È come se si arrivasse ad uno zero a zero – spiega il perito – C'è una lieve compatibilità in altre conversazioni, ma a questo risultato si giunge non considerando alcuni parametri fondamentali". Una conclusione, quella di Vitiello, che non elimina affatto i dubbi: “Scientificamente – afferma ancora il fonico – Si potrebbe arrivare ad escludere una compatibilità ma, altrettanto scientificamente, non si può giungere ad una conclusione di certezza e compatibilità assoluta”.

In parole povere, alcuni elementi confermerebbero che dietro le sbarre si trovi effettivamente il più pericoloso trafficante, altri invece non escluderebbero lo scambio di persona ma, in entrambi i casi, non si può avere alcuna certezza in merito.

Il processo, che dunque adesso vede il sopraggiungere delle minacce di morte ai pubblici ministeri, riprende il 7 giugno ma i dubbi e le perplessità rimangono.

Accusa e difesa sono concentrate attualmente sull’identità del Mered dietro le sbarre: il collegio difensivo, dal canto suo, vorrebbe portare come prova le dichiarazioni di alcuni migranti che riconoscono nell’uomo arrestato il falegname eritreo ed altri soggetti che, avendo incontrato in passato il trafficante, sostengono di non vedere nell’imputato i tratti somatici del criminale. Ma l’accusa sostiene, dall’altro lato, l’inconsistenza di tali prove.

Il procedimento in corte d’assise appare destinato a durare ancora a lungo.

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