Assolvete Dolce e Gabbana: a sorpresa, questa mattina la procura generale di Milano ha chiesto alla corte d'appello di annullare le condanne a un anno e otto mesi di carcere inflitte ai due stilisti, accusati di omessa dichiarazione dei redditi. È una svolta abbastanza clamorosa, visto che nell'impeachment dei due stilisti si era spesa non solo la Procura della Repubblica ma anche la giunta comunale di Milano, che attraverso il suo assessore al commercio Franco D'Alfonso aveva pesantemente attaccato D&G, dichiarandoli indegni di usufruire di spazi pubblici in città. I due stilisti avevano reagito aspramente, e lo scontro non si era mai del tutto risolto. Nel 2008 la procura della Repubblica milanese aveva messo sotto inchiesta D&G sostenendo che la società lussemburghese creata per lo sfruttamento dei marchi della maison era solo un trucco per beneficiare l'aliquota fiscale del 4 per cento prevista nel principato. La società Gado, con sede in Lussemburgo, era secondo la procura solo una scatola vuota mente tutte le attività commerciali si svolgevano a Milano. Ora la richiesta di segno opposto della Procura generale, che - se verrà fatta propria dalla Corte d'appello, la cui sentenza è prevista il 4 aprile - spazzerà via la condanna che nel giugno scorso aveva dichiarato Stefano Dolce e Domenico Gabbana, insieme ad alcuni collaboratori tra cui il fratello di Dolce, Alfonso, innocenti dell'accusa di dichiarazioni infedele dei redditi ma colpevoli del reato di omessa dichiarazione. La condanna primo grado era arrivata dopo un percorso complesso: l'accusa originaria di truffa ai danni dello stato era stata già dichiarata inconsistente in sede di udienza preliminare, ma la cassazione aveva ordinato un nuovo processo ritenendo che non si trattasse di un caso di truffa ma di violazione delle norme tributarie. Ed era arrivata la condanna, relativa agli anni di imposta 2004 e 2005.
Ma stamattina nell'aula del processo d'appello è apparso a rappresentare la pubblica accusa il sostituto procuratore generale Gaetano Santamaria, che ha demolito l'impianto accusatorio nei confronti di Dolce e Gabbana. Il pg ha definito la sentenza della Cassazione "corposa ma un po' generica" . E, dopo avere fatto presente che l'accusa relativa al 2004 è ormai prescritta, e ricordando che la Gado ha comunque versato 40 milioni di euro al fisco, l'imputazione del 2005 va anche essa dichiarata inconsistente. È vero, dice polemicamente Santamaria, che col trasferimento in Lussemburgo gli stilisti sono passati da una tassazione del 45 per cento ad una del 4. "Come cittadino e contribuente italiano posso indispettirmi per questo risultato che mi fa tanto rabbuiare. Posso plaudire alla Guardia di finanza che accende i riflettori, però posso allora aspettarmi un intervento su Marchionne e sulla Fiat quando verrá trasferita in Olanda. Ma come operatore della legge devo spogliarmi da ogni pregiudizio. La comunità europea ha detto che operazioni di questo genere sono in se legittime, che nessuna norma vieta la ristrutturazione del gruppo come è stata fatta, che la cessione dei marchi è lecita, che il trasferimento un paese della comunità rientra nelle libera scelta imprenditoriale e nel diritto alla libera circolazione". Certo, tutto cambierebbe se la sede in Lussemburgo fosse stata fittizia. Ma secondo il pg la sede della Gado era "pienamente adeguata alle esigenze". E la scarsità di personale si spiega col fatto che come tutte le "odierne realtà che vogliono abbattere costi fisso di beni strumentali e non vogliono aver a che fare con dipendenti, sindacati e quant altro" si era affidata a una società di servizi esterna. Dolce e Gabbana, sostiene il rappresentante dell'accusa, "pensano in grande come si conviene all squadra di un grande gruppo italiano della moda che è presente in tutto il mondo", e la scelta del Lussemburgo era finalizzata allo sbarco in borsa. "Lussemburgo ha la borsa più vivace d'Europa perché il suo regime fiscale è in grado ai attrarre capitali, e cosa vuole una società che si quota in borsa se non attrare capitali?". Oltretutto, ha spiegato Santamaria, non c'è alcuna prova che Dolce e Gabbana si occupassero del settore contabile e amministrativo.
Anzi, c'è la prova che i due "si affidano a persone di fiducia per tutti gli assetti non legati alla creatività". Per questo "una condanna penale contrasta con il buon senso giuridico", ha concluso chiedendo l'assoluzione con formula piena di D&G. Assoluzione piena chiesta anche per i quattro imputati minori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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