Due anni e dieci mesi passati in carcere, con l'accusa di aver tentato di uccidere le sue figlie. Ma una genetista l'ha scagionata e ora Marina, 32enne napoletana, vorrebbe riabbracciare le sue bambine.
Le accuse e la condanna
A novembre del 2015, Vittoria, di appena tre mesi, viene ricoverata al pronto soccorso dell'ospedale di Napoli, con vomito e corpo irrigidito. Secondo alcuni medici potrebbero essere i sintomi di un'epilessia e sottopongono la piccola a una cura con sciroppo a base di barbiturici e un medicinale sedativo. Ma Vittoria, il 29 gennaio 2016 finisce in coma. La terapia allora viene sospesa, ma dopo un mese si riscontrano ancora tracce di sedativi. Da qui il sospetto che la piccola fosse stata avvelenata dalla madre, che viene segnalata al tribunale dei minori. Come racconta il Corriere della Sera, la piccola poi guarisce e torna a casa, ma a novembre del 2016 arriva in ospedale l'altra figlia di Marina, di 3 anni: nel corpo vengono trovate benzodiazepine. Così, il 16 gennaio del 2017, la donna finisce in carcere, poco dopo aver partorito la terza figlia. Secondo i periti, la 32enne soffrirebbe della sindrome di Polle, una malattia mentale che spinge una persona a procurare un danno fisico al figlio, così da farlo credere malato e attirare l'attenzione su di sé, come genitore che si prende cura del proprio bambino.
L'assoluzione
Marina ha passato in carcere quasi 3 anni. E in quei 34 mesi chiusa dietro le sbarre, la donna ha dovuto anche difendersi da un tentativo di linciaggio, che avevano portato al trasferimento dal carcere: "Ogni notte guardavo le sbarre della cella dov’ero rinchiusa: un dolore che nessuno potrà mai cancellare. Per difendermi avevo solo le mie parole", racconta la 32enne al Corriere della Sera. Secondo le relazioni dei medici dell'ospedale di Napoli, i malesseri delle bambini sarebbero stati causati da dosi eccessive di medicinali e, fin da subito, si era pensato che a somministrarli fosse stata la madre. Ma un genetista nominato dalla difesa ha scagionato la donna: le due bambine avrebbero una mutazione genetica, a causa della quale non riuscirebbero ad espellere correttamente e velocemente alcuni medicinali. Il loro accumulo può far pensare a un avvelenamento, ma nel corpo delle bambine sarebbero state trovate le tracce del principio attivo del medicinale usato in rianimazione. Quindi il farmaco non sarebbe stato dato alle piccole dalla madre.
Per questo, il tribunale di Roma e quello di Napoli hanno assolto Marina con formula piena.Ora, la donna è libera e spera di poter riabbracciare le sue figlie, che erano state affidate a una comunità protetta, dopo la sospensione della patria potestà.
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