L'atteggiamento da tenere nei confronti dei fenomeni migratori non è condiviso da tutti i cattolici. Se per alcuni di questi, infatti, pare che l'accoglienza debba essere predisposta indiscriminatamente, per altri il problema è più complesso e va affrontato anche tenendo conto del "diritto a non emigrare". Papa Francesco è spesso stato accusato dai catttolici tradizionalisti di porre troppo l'accento sui migranti e poco sulle questioni di carattere spirituale. Me esattamente come il suo predecessore, in realtà, Bergoglio ha ribadito che l'immigrazione è un fenomeno "che deve essere fortemente regolamentato". Certo, le occasioni nelle quali il pontefice argentino ha esposto questo punto sono state meno assidue rispetto a quelle in cui ha sottolineato la necessità di accogliere, tanto che alcuni suoi detrattori hanno finito per parlare di "teologia dell'immigrazionismo". Le contraddizioni all'interno della Chiesa cattolica sul tema dell'immigrazione di massa, poi, vengono spesso messe in rilievo da chi vuole cavalcare l'esistenza di una divisione tra il Vaticano e alcuni episcopati nazionali. Una frattura che, tematicamente, pare esistere davvero.
I vescovi cattolici africani, ad esempio, hanno più volte invitato le popolazioni del loro continente a restare in Africa per creare ricchezza. Mons. Nicolas Djomo, vescovo di Tshumbe e presidente della Conferenza Episcopale della Repubblica democratica del Congo, ha invitato gli africani a non cercare un futuro più radioso in Europa. "Il traffico di esseri umani è destinato ad aumentare il numero di persone frustrate che non possono sbarcare il lunario. Lo sapete, il tempo di finire gli studi all'università e iniziate a vagare per le strade per tre, quattro, cinque e sei anni, senza lavoro, e si arriva a 30 o 31 anni senza futuro, ed è molto difficile starsene tranquilli" ha sottolineato il Card. John Olorunfemi Onaiyekan, Arcivescovo di Abuja, in occasione di una Conferenza sulla tratta degli esseri umani, organizzata da Caritas Internationalis e dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. E anche il Card. Turkson si è espresso contrariamente alla bontà dell'immigrazione di massa:"È come un rubinetto che perde acqua - ha dichiarato nel luglio del 2017 riferendosi all'immigrazione - non è sufficiente asciugarlo, bisogna chiuderlo" - ha aggiunto. L'esistenza di un "diritto a non emigrare", del resto, è stato più volte sottolineata tanto da Benedetto XVI quanto da Giovanni Paolo II: due pontefici che avevano molto a cuore l'appartenenza identitaria.
Tra i cattolici, un altro episcopato molto sensibile sul tema è quello polacco. Durante la ricorrenza della festa della Madonna del Rosario, che è anche l'anniversario della battaglia di Lepanto, i vescovi polacchi hanno organizzato un "Rosario alle frontiere" contro la secolarizzazione della Polonia e l'islamizzazione dell'Europa. L'iniziativa, che ha coinvolto un milione di persone, è stata sostenuta da 22 diocesi sulle 42 complessive. E la polemica sulla presunta divisione dottrinale riguardante l'immigrazione, quella tra il pontefice e alcuni vescovati nazionali, è finita per riguardare anche le cronache giornalistiche. Ha scritto Antonio Socci su Libero nell'estate del 2015: "Al colossale errore ideologico dell’umanitarismo astratto, si contrappone la saggezza dei vescovi africani. Le loro ragioni sono confermate da una studiosa dell’Africa, Anna Bono, la quale ha recentemente spiegato che a emigrare non sono gli affamati, ma i giovani istruiti: "In gran parte la motivazione non è un pericolo di vita incombente né la miseria estrema. Gli emigranti dall’Africa per lo più non stavano morendo di fame, non vivevano sotto le bombe o nel terrore di un regime spietato. Difatti pochi ottengono lo status di rifugiato".
I cattolici contrari all'immigrazionismo di massa, in sintesi, sostengono che tra i migranti ci siano soprattutto maschi istruiti, per lo più provenienti dalle città, che avrebbero potuto decidere di restare nella loro terra d'origine. Un diritto a non emigrare, insomma, che per qualcuno dovrebbe tramutarsi in un invito a restare nella propria terra d'origine.
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