Joseph Ratzinger ha sostenuto l'esistenza di un diritto a non emigrare. Nel messaggio di Benedetto XVI per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato, nel 2013, infatti, Ratzinger scrisse in un passaggio: "Certo, ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti". Qundi il focus sul diritto in questione: "Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato (ora Santo) Giovanni Paolo II che "diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione", (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998)". Per Benedetto XVI, quindi, così come per Giovani Paolo II, il diritto di restare nella propria terra di appartenenza è minato da fattori strutturali, elementi da tenere sott'occhio per comprendere a pieno il fenomeno dell'immigrazione. Gli stessi che possono negare la facoltà di scegliere se rimanere o meno in patria.
Un indirizzo comunicativo diverso rispetto quanto emerso dalle dichiarazioni di Papa Francesco, anche in questi ultimi giorni. Il Papa Emerito, in effetti, apertamente al fianco dei migranti e dei loro diritti fondamentali, aveva posto un forte accento sugli effetti negativi di un'immigrazione incontrollata e lasciata, di conseguenza, in balìa dei trafficanti di esseri umani. Scriveva al riguardo Benedetto XVI nel medesimo messaggio: "A tale proposito, non possiamo dimenticare la questione dell’immigrazione irregolare, tema tanto più scottante nei casi in cui essa si configura come traffico e sfruttamento di persone, con maggior rischio per donne e bambini". E ancora: "Tali misfatti vanno decisamente condannati e puniti, mentre una gestione regolata dei flussi migratori, che non si riduca alla chiusura ermetica delle frontiere, all’inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e all’adozione di misure che dovrebbero scoraggiare nuovi ingressi, potrebbe almeno limitare per molti migranti i pericoli di cadere vittime dei citati traffici". Il fenomeno, per Benedetto XVI, nasconde insidie drammatiche tanto per i migranti quanto per la società tutta e, in virtù del fatto che la chiusura delle frontiere non possa, almeno per un cristiano, rappresentare una risposta corretta, "interventi organici e multilaterali per lo sviluppo dei Paesi di partenza" divengono, nel pensiero di Benedetto, di primaria importanza. Un problema che va risolto alla radice, dunque, interessandosi attivamente delle situazioni presenti nelle nazioni da cui i migranti partono.
Accoglienza, poi, esattamente come Papa Francesco, ma anche programmi strutturali per far sì che le persone possano effettivamente scegliere dove vivere la propria esistenza. E condanne per i trafficanti, arrivate, per completezza d'informazione, anche da Bergoglio. Altrimenti, però, per Benedetto XVI viene meno il diritto a non emigrare, diritto umano fondamentale tanto quanto quello di emigrare. Una chiave giuridica rivoluzionaria e di estrema attualità.
La figura di Ratzinger è spesso utilizzata in modo assolutamente strumentale contro Papa Francesco, ma sulla questione dell'immigrazione, la scelta degli aspetti su cui soffermarsi, sembra decisamente differenziare i due papati e le rispettive visioni del mondo.
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